mercoledì 30 ottobre 2024

Lacnunga (Rimedi) - Testi medici e preghiere antiche anglosassoni



La Lacnunga ('Rimedi') è una raccolta di testi medici e preghiere anglosassoni vari, scritti principalmente in inglese antico e latino. Il titolo Lacnunga , una parola inglese antica che significa 'rimedi', non è nel manoscritto: fu dato alla raccolta dal suo primo curatore, Oswald Cockayne, nel diciannovesimo secolo. Si trova, dopo altri testi medici, nell'Harley MS 585 della British Library , un codice probabilmente compilato in Inghilterra alla fine del decimo o all'inizio dell'undicesimo secolo. Molti dei suoi rimedi erboristici si trovano anche, in forma variante, nel Bald's Leechbook , un altro compendio medico anglosassone.


Il Lacnunga contiene molti testi unici, tra cui numerosi amuleti , alcuni dei quali offrono scorci rari sulla religione popolare anglosassone e sulle pratiche di guarigione. Tra gli amuleti ci sono diversi incantesimi in versi allitterativi in ​​inglese antico, i più famosi dei quali sono quelli noti come For Delayed Birth , Nine Herbs Charm e Wið færstice ('Contro un dolore improvviso e lancinante'). Ci sono anche diversi amuleti in irlandese antico corrotto .


Tra le preghiere latine, la più lunga è una redazione della Lorica di Laidcenn (in passato spesso nota come Lorica di Gildas ). Questo poema irlandese del settimo secolo, conservato anche in altri manoscritti, è un membro del genere lorica delle preghiere protettive. Questa istanza assume la forma di una lunga litania di parti del corpo per le quali il parlante cerca la protezione di Cristo e di una moltitudine di angeli dagli assalti dei demoni . È accompagnato in questo manoscritto da una glossa interlineare in inglese antico, che probabilmente deriva da un esemplare nel dialetto merciano.

L'Incantesimo delle Nove Erbe - Tratto dal Lacnunga

 

L'incantesimo delle nove erbe, in inglese moderno Nine Herbs Charm, è un incantesimo in antico inglese del 9° o 10° secolo registrato nel manoscritto Lacnunga (una raccolta di metodi pagani di cura) del 10° secolo (Gordon, R. K., Anglo-Saxon Poetry, Everyman's Library #794, 1962, M. Dent & Sons, LTD).

L'incantesimo è inteso per il trattamento dell'avvelenamento e dell'infezione tramite una preparazione con nove erbe.



I numeri nove e tre sono citati numerose volte all'interno dell'incantesimo e sono numeri significativi nel paganesimo germanico, e più tardi nel folklore germanico (Macleod, Mindy; Mees, Bernard, Runic Amulets and Magic Objects, Boydell Press, 2006).

Il poema contiene riferimenti sia a elementi pagani inglesi che ad elementi cristiani, incluso un cenno alla divinità principale germanica, Odino.

Secondo R. K. Gordon, il poema è "sicuramente qualcosa di anticamente pagano che è stato soggetto alla censura cristiana" (Gordon, R. K., cit.).

Malcolm Laurence Cameron propone un valore psicologico per il componimento, sostenendo che cantare i suoi versi risultava, per gli "antichi" pazienti, in un "effetto meravigliosamente incantatorio" (Cameron, Malcolm Laurence, Anglo-Saxon Medicine, Cambridge University Press, 1993).





L’incantesimo fa riferimento a nove erbe: Mucgwyrt (Artemisia vulgaris), Attorlaðe (identificata da R. K. Gordon (op. cit.) come il giavone (Echinochloa crus-galli), definita da altri come betonica comune (Stachys officinalis), Stune (Cardamine hirsuta); Wegbrade (piantaggine, ovvero Plantago sp.); Mægðe (Matricaria, ovvero camomilla), Stiðe (ortica; Urtica sp.), Wergulu (melo; Malus sp./Pyrus sp.), Fille (timo; Thymus sp.) e Finule (finocchio selvatico; Fœniculum vulgare).



Alla fine dell’incantesimo vengono date istruzioni in prosa per prendere le suddette erbe, pestarle fino a polverizzarle, mischiarle poi con sapone vecchio e succo di mela.

Ulteriori istruzioni indicano di fare una pasta di cenere e acqua, bollire il finocchio nella pasta, mischiarla ad uovo battuto - entrambi prima e dopo l’applicazione del balsamo preparato -. Inoltre, l’incantesimo indica al lettore di cantare le parole tre volte per ognuna delle erbe, mela inclusa, prima che esse siano preparate, mentre si mettono nella bocca del ferito, su entrambe le orecchie, e sulla ferita stessa prima dell’applicazione del balsamo.

Il poema contiene una delle due menzioni di Odino in antico inglese (l’altra è Maxims I nell’Exeter Book).

Il testo indica quanto segue:

“un serpente giunse strisciando, morse un uomo.

Poi Odino prese nove rametti gloriosi, distrusse il serpente così che esso volò via in nove parti.

Poi la mela fece sì da passare attraverso il veleno, così che il serpente non sarebbe più entrato in casa”.

Alcuni hanno suggerito che questo passaggio descrive Odino che chiede aiuto alle erbe tramite l’uso da parte sua dei nove rametti, su ognuno dei quali era stata incisa l’iniziale del nome della pianta in caratteri runici (Mayr-Harting, Henry, The Coming of Christianity to Anglo-Saxon England, 1991, Penn State Press).

Il testo consiste di tre parti: l'incantesimo delle erbe, la formula magica e la ricetta.

Ci si rivolge a turno a nove erbe e vengono dati i motivi per l'azione da intraprendere. Quest'ultimo aspetto è spesso fatto per analogia: la resistenza della piantaggine ai bordi della strada, ad esempio, dovrebbe essere trasferita al paziente:

Ond þu, wegbrade, wyrta modor,

eastan Openo, innan mihtigu;

ofer dE crætu curran, ofer dE cwene reodan,

ofer dE bryde bryodedon, ofer þe fearras fnærdon.

Eallum þu Thon wiðstode and wiðstunedest;

swa ðu wiðstonde Attre and onflyge

and þæm Ladan þe lond geond Fered

"E tu, piantaggine, madre delle erbe,

aperta a oriente, potente dentro;

carri passano su di te, la regina cavalca su di te,

urlano su di te le spose, rumorosi buoi.

Tu puoi resistere a tutto e resistente rimani in piedi;

così tu puoi resistere ad ogni veleno e contagio

e all'odiato (il nemico) che attraversa il paese"

(versi 7-13).

È stato possibile identificare chiaramente le erbe solo in parte:

mucgwirt = inglese Mugwort, latino Artemisia vulgaris (artemisia)

wegbrade = inglese Plantain, latino Plantago maior (piantaggine)

stune = inglese Lamb's cress, latino Cardamine hirsuta ma anche inglese Corn salad, latino Valerianella locusta, ma anche inglese Watercress, latino Nasturtium officinale o Rorippa nasturtium-aquaticum (crescione)

stiðe = inglese Nettle, latino Urtica dioica e Urtica urens (ortica)

attorlaðe = inglese Betony, e anche Bishop word o Woundwort, latino Stachys betonicaBetonica officinalis (betonica comune), oppure inglese Black nightshade, latino Solanum nigrum (morella comune), oppure inglese Viper's Bugloss, latino Echium vulgare (viperina azzurra), oppure inglese Cock's Spur Grass, latino Panicum crus galli Echinochloa crus-galli (giavone)

mægðe, inglese Chamomile o anche Mayweed o Maythe, latino Anthemis cotula o Matricaria (camomilla)

wergulu, inglese Crab-apple o Wood-sour Apple, latino Pyrus malus (mela selvatica)

fille, inglese Chervil, latino Anthriscus cerefolium (cerfoglio)

finule, inglese fennel, latino Foeniculum vulgare (finocchio selvatico o finocchietto).

Queste erbe aiutano contro il veleno dei serpenti e dei vermi e contro le infezioni, stando alla formula magica.

Nella seconda parte del testo si racconta di come Odino ha abbattuto un serpente spezzandolo in nove pezzi, e ci sono tutte le malattie e i veleni elencati in ripetizioni a mo' di formule, contro le quali vengono elencate le erbe che aiutano la guarigione. Il potere della benedizione ovvero l'impressione di una raccolta di ricette splendono attraverso le righe di questo antico incantesimo germanico (Alfred Philipsson, Germanic paganism among the Anglo-Saxons, publishing B. Tauchnitz, Leipzig 1929. S. 153).

Gli incantesimi anglosassoni mischiano, sembra, la magia con la medicina, il folklore pagano con il cristianesimo, la scienza con il miracolo - sebbene tali distinzioni (che, come tutte le differenze, hanno qualcosa di artificiale in realtà) non sarebbero piaciute ai progenitori anglosassoni, cristiani o no -.

Nella filosofia medico-magica degli antichi Germani i serpenti (wyrmas) ed il loro veleno (attor) sono agente simbolico di malattia e dolore. In effetti, molte antiche poesie indoeuropee celebrano la sconfitta dei serpenti da parte di divinità o di eroi, dall'indiano Rg Veda alle storie norrene dell'uccisione, da parte di Þórr, del Miðgarðsormr (il serpente del mondo). Lo stesso poema Beowulf si conclude con l'eroica lotta di Beowulf con il dragone, probabilmente un'eco inglese dello stesso racconto primordiale indoeuropeo che sta dietro alla lotta di Indra contro Vrtra (Rg-Veda I.32, I.80).

Appare qui una fusione o sincretismo tra magia/teologia/folklore germanici pre-cristiani (ad esempio il serpente inteso come malattia, il sacrificio di se stesso da parte di Odino come sciamano per il mistero delle rune) ed il mito cristiano (ad esempio Cristo sulla croce, la mela ed il serpente). Infatti, la distinzione tra Cristo e Odino è oscurata ulteriormente dal riferimento al "signore appeso", apparentemente Cristo sulla croce, ma che richiama il sacrificio di Odino su se stesso per cui si è appeso ad un albero per nove notti (nove erbe?) e si è trafitto con la sua stessa emblematica lancia per acquisire la conoscenza dei misteri delle rune (Hávamál 138-9 nell'Edda antica).


venerdì 11 ottobre 2024

DEMETRA e i Misteri Eleusini















« Fatevi avanti

ora nel sacro cerchio della dea,

giocando nel bosco in fiore

voi che prendete parte alla festa divina.»


Demetra, conosciuta come la Dea greca del Frumento era venerata a Eleusi, una città attica di origine Micenea, situata a occidente di Atene. La più importante e antica testimonianza che ci resta del suo culto è l'Inno omerico a Demetra , tutte le altre informazioni ci vengono da frammenti di autori greci posteriori, talvolta cristiani. Il suo nome deriva da un arcaico Dè Meter che potrebbe discendere dal miceneo Gè Meter, Terra Madre, da intendersi forse nel senso di « Madre Natura ». Il mito rappresenta una delle varianti più famose dei culti agrari dedicati al ciclo di morte, rinascita e trasformazione della vegetazione e narra le drammatiche vicende della Dea delle Messi, che partita da Creta giunse a Eleusi, per ritrovare la figlia Core/Persefone, rapita da Ade, il dio degli Inferi.

Esistono vari miti che riguardano il ciclo delle Stagioni sotto forma di discesa agli inferi. Il racconto più antico è quello della Dea mesopotamica Inanna/Ishtar e di sua sorella Ereshkigal, la dea delle regioni sotterrane, « il regno da cui non si torna » :

« Coloro che entrano qui non hanno più luce. Di polvere e creta debbono nutrirsi. Sono vestiti come uccelli, vestiti di ali. Polvere è sparsa sulle porte e sulle serrature.»

In questo caso la Dea Inanna non deve liberare sua figlia, ma il suo compagno Tammuz/Dumuzi, il dio della vegetazione e scende lei stessa agli Inferi, in quello che sembra velare uno dei primi rituali iniziatici, collegato a oggetti simbolici, a punti energetici e piani di realtà. Man mano che la dea varca i 7 portali degli inferi viene privata delle vesti e degli ornamenti: della corona al primo portale [la regalità, ma anche il Chakra della Corona], degli orecchini al secondo (il senso dell'udito), quindi delle collane (centro della gola), dei pettorali (centro del cuore), della cintura (Sessualità e Fertilità), dei braccialetti e delle catenelle alle caviglie (i legami e il movimento) e infine delle vesti (il corpo stesso). Condotta nuda al cospetto della sorella, questa la fa torturare con “sessanta afflizioni” in ogni parte del corpo e di conseguenza nel periodo in cui la dea dell'amore e della guerra rimane prigioniera negli inferi, la terra perde la sua fertilità.

« Da quando Ishtar è scesa nel luogo da cui non si torna il toro non salta più sulla vacca, l’asino non monta più la compagna, l’uomo nella strada non si unisce più alla fanciulla. »

Allo stesso modo, Iside, la Dea Egiziana della Sapienza e della Magia, andrà alla ricerca del suo compagno/fratello Osiride, il dio del Grano e della Birra, fatto a pezzi dal fratello Set, come una spiga viene che battuta per separarne i chicchi. Osiride, una volta “ricomposto” da Iside, andrà a regnare negli Inferi come aspetto della luce del Sole in fase decrescente, (il sole estivo la cui luce inizia a diminuire dal solstizio d'estate a quello d'inverno) e notturna (la parte di giornata nella quale si immaginava che il disco solare viaggiasse sottoterra, per tornare all'alba) .


Perché un tempo il ciclo agrario era celebrato ritualmente?

Ormai viviamo in un’epoca in cui è diventato piuttosto raro partecipare in prima persona alla preparazione del pane: dal momento della semina a quella del raccolto, dal momento della macinatura a quello della panificazione”. Al contrario, anticamente, in periodi astronomici e meteorologici precisi, tutto questo processo era vissuto attraverso una serie di momenti sacri, scanditi e celebrati ritualmente non solo dalle piccole società agricole produttrici, ma anche dalle grandi città, dipendenti dai prodotti delle campagne e delle colonie. Durante l’anno liturgico venivano indette Grandi Feste nelle quali si rappresentavano le tragiche vicende di quelle divinità che incarnando “gli spiriti” della Natura, sacrificavano se stesse per la collettività, morendo (frutti) e risorgendo (semi) stagione dopo stagione.

«Quando Demetra giunse nel nostro paese, nel suo peregrinare a seguito del rapimento di Core, e provò un sentimento di benevolenza nei confronti dei nostri antenati per i servizi ricevuti (di cui solo agli iniziati è consentito sentire parlare), concesse due doni, che sono i più grandi che esistano, i frutti della terra grazie ai quali non viviamo come bestie, e l’iniziazione, in virtù della quale coloro che vi partecipano godono delle più dolci speranze per la fine della vita e per l’intera durata della loro esistenza.»

Le sacre feste avevano due livelli di partecipazione: uno collettivo e uno iniziatico. Nel primo si celebrava il raccolto materiale, mentre con il secondo si comprendeva che c'era un modo di “coltivare il proprio futuro” che offriva anche un raccolto “spirituale”. A quel tempo l'essere umano si sentiva ancora figlio della Natura e aveva logicamente dedotto che le leggi, i cicli e le metamorfosi che trasformavano un seme in frutto, erano le stesse che regolavano le stagioni della vita psicofisica dell’individuo. Si poteva quindi ottenere un prospero raccolto sia da vivi che da morti se ci si preoccupava di coltivare anche il “terreno” dell'Anima. In questa prospettiva, lo stesso Ade, Signore dei Morti, non veniva rappresentato dagli Eleusini come personificazione della morte ingiusta, ma come espressione della ritmica danza della Vita che si alterna con la Morte, se a Roma il dio, venne identificato con Plutone, il nume tutelare della ricchezza, esprimendo un chiaro parallelismo tra il raccolto messo via per l’inverno, e la giusta ricompensa dopo la morte:

« […] subito alla sua casa mandano, nume tutelare, Pluto, che dispensa ricchezza agli uomini mortali. »

« Felice tra gli uomini che vivono sulla terra colui ch’è stato ammesso al rito! Ma chi non è iniziato ai misteri, chi ne è escluso, giammai avrà simile destino, nemmeno dopo la morte, laggiù nella squallida tenebra.»

« ... Quando Demetra ... concesse ... l'iniziazione, in virtù della quale coloro che vi partecipano godono delle più dolci speranze per la fine della vita e per l'intera durata della loro esistenza»


DEMETRA come Madre Natura e mitica fondatrice dell'agricoltura.


Il culto di Eleusi nella sua forma più antica, a differenza degli altri culti agricoli, è una religione “al femminile”. In esso non troviamo la coppia divina della Dea e del Dio. Demetra non ha un figlio, fratello e compagno, ma la storia gravita intorno al rapporto affettivo tra una Madre e una Figlia. La figura di Dioniso, all'interno di questi misteri, compare più tardi e anche Ade, fratello di Demetra, non è il suo “paredro”, ma al pari di Ereshkigal, serve a spiegare il motivo per cui la vegetazione in autunno si ritira attraverso la discesa di una divinità femminile collegata al grano, invece che per mezzo di un dio della vegetazione. In un culto al femminile verrebbe da pensare a una triplice manifestazione della Dea, se non fosse che Demetra e Core, pur rispecchiandosi l’una nell’altra sono solamente in due, se non si calcola l'aspetto di donna anziana che la Dea delle messi assume mentre cerca la figlia. Potremmo allora essere in presenza di una Dea Doppia, come manifestazione di un’unica divinità della Natura, nel suo duplice aspetto di Vita e di Morte, tenendo conto anche del fatto che alcuni studiosi associano il nome di Demetra con quello di Core partendo dal miceneo ko – wa (Core e) fino a ma – ka che diventerebbe Ma – Gà e successivamente Da – meter. Nell'Inno a Demetra, la figlia della Dea viene però sempre chiamata Persefone, quindi in mancanza di prove, la cosa più semplice è considerare le due Dee come manifestazioni della Natura stessa, sul modello di quella che diverrà poi l'idea di un una Unità che si manifesta nella Molteplicità dei doni della terra . Madre Natura rivela se stessa nella forma di Demetra come Dea delle messi, quindi della Terra, ma si dimostra anche Dea Celeste, perché nell’inno le tappe della ricerca della figlia vengono distinte attraverso precisi momenti stagionali. La Natura si manifesta in Demetra, che si incarna sul piano materiale in Persefone, così da poter nutrire l'umanità nella sua qualità di dea seme . « Per la terza parte dell’anno » compie il suo ciclo in questa condizione restando « dentro la densa tenebra », mentre per due terzi torna dalla madre e con gli altri immortali. Non è ovviamente la Natura che ha dato di sé l'immagine di una Dea, ma la percezione culturale degli esseri umani, che la immaginano come una Donna Immortale i cui stati d'animo spiegano metaforicamente perché e quando la vegetazione si ritira e si occulta, oppure inonda i campi di fiori rigogliosi e messi abbondanti. All'immagine di Demetra, gli abitanti di Eleusi affidano il loro oscuro passato protostorico di cui anche loro hanno perso memoria, rendendola mitica fondatrice, protettrice e divulgatrice delle tecniche per seminare, raccogliere e trasformare uno degli aspetti vegetali più importanti per la sopravvivenza della società rurale stanzializzata: il Grano. Questo fa pensare a certe teorie che vedono la nascita dell'agricoltura collegata all'azione soprattutto delle Donne. Persefone, da parte sua, rappresenta il prodotto della Natura, il seme di Demetra, che ricorda il successivo mito cristiano del dio Ebraico che si manifesta in suo figlio, il Cristo, il cui culto si fregerà del pane di Demetra e del vino di Dioniso come simboli della sopravvivenza spirituale.


DEMETRA e IL CICLO del GRANO


Il fatto che il ciclo del grano nel mito Eleusino venga descritto con 3 fasi, può essere spiegato sia che ci si riferisca a 4 stagioni, che ci si affidi al calcolo delle levate eliache, rintracciando la quarta fase non nell'Inverno e neanche nell'Autunno che fanno entrambi parte delle fasi della vita del seme, (quando cioè questo è nascosto nella terra), ma in un momento simile a quello indicato simbolicamente dalla Luna Nera, una fase “invisibile” che non fa parte apparentemente del ciclo riproduttivo della semente, ma che comunque esiste come “fase nascosta” , come “occultamento” del seme prima che venga ri-piantato. Questo momento potrebbe coincidere con la fine dell'estate, quando i semi raccolti sono “prigionieri” nel buio dei granai di Plutone, in attesa di essere ricondotti nel regno sotterraneo di Ade. Questo luogo “della vita dopo la morte” e “della morte che conduce alla vita”, dove il seme attende il tempo della prossima trasformazione è equiparabile in un certo senso all'ingresso dell'aldilà, uno spazio nel quale le anime attendono di reincarnarsi o dove soggiornano il tempo di rendersi conto della nuova vita che le attende .

Nel periodo in cui Demetra va in cerca di sua figlia per liberarla indossa l’abito nero, come nera è la terra ricca di humus dopo che è stata arata dalle energie incanalate del Toro. Non siamo ancora in inverno, ma potrebbe trattarsi proprio del tempo che intercorre tra la mietitura e la semina, tra fine estate e inizio autunno. La terra in questa fase è apparentemente sterile, nel senso che non ha ancora ricevuto il suo stesso seme da ritrasformare, ma nasconde dentro di sé tutta la potenzialità della generazione. Siamo molto lontani dalla visione della Donna e quindi della Terra, svilita a contenitore di un seme maschile introdotta da Aristotele e Platone e passata nel cristianesimo:

«Nei campi coltivati a frumento l’aratura inizia a metà giugno, subito dopo si concima e si ara una seconda volta a metà settembre, perché la terra destinata a frumento deve essere pronta per i primi di novembre. Ogni aratura è da ritenersi una ripulitura della terra dagli agenti infestanti ed un arricchimento in azoto ed ossigeno. Il gelo poi frantumando la zolla, la rende polverosa e la depura dagli insetti.»

I Rituali dei Misteri Eleusini si celebravano tra settembre e ottobre e il tempo della semina, si collocava proprio a metà autunno, verso ottobre, il mese dei morti e del moderno Samhain.

« La Semina, a spaglio, varia infatti con il clima: nelle regioni settentrionali in pianura inizia in ottobre, in quelle meridionali nella seconda metà di novembre. Il seme va sottoposto preliminarmente a vagliatura, un altro degli strumenti sacri a Demetra ed a Dioniso, per eliminare le impurità. Si effettua una selezione preliminare del seme mediante crivello a maglie larghe. Nei paesi freddi vengono preferiti i semi grossi perché contenendo più sostanze di riserva, sopportano meglio il freddo. »

Prendendo per buono quanto ipotizzato fino ad ora, nel momento in cui Demetra si ferma a Eleusi, la semina è stata finalmente compiuta. La Dea, “ospite dei mortali”, riposa e attende sotto le mentite spoglie di una vecchia nutrice, ma in realtà è una Madre che attende di partorire, è la terra che ha riavuto il suo seme, e attende di “ritrovare”, cioè dare di nuovo alla luce sua figlia. Il nascondersi nei panni di una Vecchia può essere simbolicamente ricollegabile al fatto che la Donna incinta e la Donna anziana condividono una condizione simile, cioè l'essere “divenute sterili”. Questo stato permette loro di acquisire una maggiore saggezza e potere, perché l'energia viene rivolta verso la creazione interiore, rispetto a quella esteriore. La donna incinta è sterile solo per il tempo che le serve a portare avanti la crescita del seme che sta facendo sviluppare dentro di se (allattamento compreso). In questo periodo il suo ciclo ovulatorio si interrompe, così come la vegetazione in inverno rallenta il suo battito, ma questo non vuol dire che le energie non siano comunque impegnate in uno sforzo creativo, perché è proprio in inverno che il seme sviluppa le radici e coltiva quelle energie che gli permetteranno di spingersi con forza fuori dalla terra.

Un altro dei molti motivi per equiparare la Natura a una Donna immortale è svelato e nel tempo dell'attesa la Dea non sta con le mani in mano, ma usa la sua intelligenza emotiva e intuitiva, esaltata dallo stato in cui si trova, per condividere e diffondere le sue conoscenze alla comunità. Come Dea Celeste, cerca di rendere immortale il piccolo figlio della regina, nello stesso momento in cui Persefone come Dea Ctonia, entra nella fase di seme-anima vivendo e formandosi all'interno dell'utero-terra di sua madre. L'alto e il basso si connettono, come l'anima e il corpo, ma il suo tentativo di donare l'immortalità fisica alla razza umana viene interrotto dalla regina che la scopre:

«O mortali sciocchi e insensati, incapaci di prevedere il destino, buono o cattivo! [...] avrei reso tuo figlio immortale, ora invece non potrà sfuggire alla morte e al fato [...] ».

Subito dopo aver pronunciato queste parole di rimprovero, decide però di istruire gli abitanti sui suoi “Riti di perfezionamento” e chiede che per questo motivo le sia costruito un Tempio nel quale insegnare all'anima come poter accedere alle zone più felici dell'aldilà.

Qui termina la funzione del divino come mitico antenato neolitico ed entriamo in epoca protostorica con il passaggio dall'allevamento all'agricoltura. La divinità affida i suoi segreti a sacerdoti che vengono scelti tra gli esponenti delle famiglie che l'hanno ospitata, ovvero una stirpe di ierofanti formata in prevalenza da pastori (Eumolpo), procari (Eubuleo) e bovari (Trittolemo) . Questi sono forse i mitici discendenti dei clan familiari che svilupparono e/o importarono le tecniche dell'agricoltura e che trasformano un sistema di istruzione iniziatica da familiare-tribale in sociale-urbano ritualizzando i modi per “addomesticare” la Vita e la Morte:

« ... Allora niente di meglio di quei misteri, che ci hanno sottratto a una vita rozza e selvaggia e resi civili e disponibili alla cultura umana; e le iniziazioni, come sono dette, così davvero abbiamo conosciuto i principi della vita, e abbiamo ricevuto la dottrina non solo per una vita felice, ma anche per una morte sostenuta da una speranza migliore.»


PERSONAGGI IMPORTANTI nell'EPOPEA di DEMETRA


1) IAMBE


Nell’Inno a Demetra vi è un episodio che ha precedenti o similitudini nei miti di altri popoli. Iambe (o Baubo a seconda delle fonti), una delle figlie della regina, cerca di consolare la Dea, dai bei capelli, che chiusa nel suo dolore se ne sta in silenzio e digiuna. Vi riesce facendola ridere con scherzi e motti osceni:

«Ma Demetra signora delle messi, ricca di doni, non volle sedersi sul trono splendente e aspettò silenziosa, abbassando i begli occhi, finché l'accorta Iambe le pose vicino un robusto sgabello, e sopra vi stese un candido vello. Qui sedendo, la dea si teneva il velo con le mani. A lungo rimase seduta, muta e angosciata, senza rivolgere parole o gesti ad alcuno: non sorrideva, non toccava né cibo né bevanda, struggendosi di nostalgia per la figlia dall'alta cintura. Finché l'accorta Iambe, con scherzi e con molti motteggi, indusse la dea veneranda a sorridere, a ridere e a rasserenare l'animo (Iambe che anche poi fu sempre cara al suo cuore).»

Anche se si potrebbe trattare di riferimenti riguardanti la pratica ritualistica della purificazione e del segreto iniziatico, non si può negare alla vicenda un ruolo catartico. Provocare una risata in una persona che sta attraversando un brutto momento è come veder sbucare all’improvviso un raggio di sole in un cielo in tempesta. Un motto di spirito, una frase oscena, interrompono e spezzano con effetto esplosivo e terapeutico (risoterapia), il silenzio e l’isolamento nei quali finiamo per rinchiuderci a causa del dolore. Il riso spezza la tensione e riequilibra le energie in una situazione drammatica. Il nome Iambe, non a caso, è anche l’eponimo della poesia giambica, tradizionalmente scurrile (sessuale) e “violenta” (satirica), la cui origine è connessa con le feste di Demetra e Dioniso. La comicità oscena e il fare l’amore sono legati, perché entrambe le cose rendono sicuramente allegri. Non dimentichiamo, infatti, che la Sessualità è collegata direttamente alla fertilità e all’azione creativa–trasformativa. A questa categoria di personaggi “satirici” appartengono anche il dio egiziano Bes che mostra i genitali per distrarre le partorienti dal dolore e la dea Celtica Sheila na Gig che mostra il suo sesso femminile allargato per indicare la porta della vita, tutte similitudini che confermerebbero l'episodio di Iambe come momento in cui Demetra è in attesa di “partorire” Persefone, facendola cioè tornare dagli inferi uterini della Terra.


2) LA DEA ECATE


«Dicono che “portatore di luce [fosforon] è il fuoco misterico ... L'iniziazione avviene di notte e in forma oscura perché i non iniziati non ne vengano a conoscenza ovvero perché è di notte che si celano i misteri ...» ; «Chiamavano “astro che porti la luce” [fosforon] il fuoco misterico, perché i misteri si svolgevano di notte.»


Nel culto di Mitra esistono due figure maschili chiamate dadofori, i “portatori di fiaccola”, uno la tiene alzata e l'altro abbassata, indicando sia le porte solstiziali attraverso le quali entrano ed escono le anime, sia la luce e il buio che si contendono il loro posto nel mondo quando le giornate si allungano o si accorciano. Nel culto di Demetra questa funzione di portatrice di fiaccola è assegnata a Ecate. Questa Dea appare di sfuggita all’inizio del racconto per confermare il rapimento e subito dopo si mette in viaggio con Demetra, stringendo nelle mani fiaccole ardenti. Potrebbe trattarsi anche in questo caso di un riferimento alle porte solstiziali collegando il ciclo solare non a un Dio, ma a una Dea attraverso la metamorfosi stagionali del grano. Anche Ecate, successivamente collegata alla magia, alla Luna e agli inferi, potrebbe essere stata in origine una Dea Celeste intermediaria, così come si scorge anche dagli Oracoli Caldaici:

« “Nel fianco sinistro di Ekate risiede la sorgente della virtù che permane tutta quanta all'interno, senza perdere la verginità”. [...] Icaldei descrivono Ekate come una dea che occupa l'ordine divino intermedio e gioca un ruolo centrale posto tra tutte le potenze. Così, mentre pongono nella parte destra del suo corpo la fonte delle anime, nella sinistra pongono la sorgente delle virtù.»

La prima fonte antica che nomina Ecate è Esiodo nella sua Teogonia, anche se, secondo gli studiosi, si tratterebbe di una Dea Madre preolimpica assorbita dal pantheon greco. Di lei il poeta dice che « sopra tutti Giove Cronide onorò, alla quale dette fulgidissimi doni: parte le dette della terra, del mare che mai non si miete: e anche ella ha potere nel cielo gremito di stelle». Si tratta quindi di una dea al di sopra di tutti gli dei, che più «d'ogni altra, riscuote onore fra i Numi immortali». Il suo epiteto è anghelosa, (in italiano Angelo), ovvero la messaggera , essa appare all'inizio della storia per avvertire Demetra del rapimento e appare alla fine quando Persefone viene liberata, divenendo presenza fissa nel corteo rituale di Demetra. Appare dunque per segnalare e annunciare come i dadofori la discesa e la salita del Sole in rapporto al Grano: ovvero di Persefone Seme che scende agli inferi dopo il Solstizio di Inverno e si manifesta in tutto il suo splendore di spiga matura da mietere con il Solstizio d'Estate, per venire liberata dalla materia e ascendere all'Olimpo con la Madre e gli altri immortali:

« Venne loro vicino Ecate dal velo splendente e abbracciò stretta la figlia dell'augusta Demetra: da allora la dea è sua battistrada e sua scorta.»

In virtù di questa potestà su tutti i mondi nessuno meglio di Ecate può essere guida per tutti coloro che stanno attraversando territori fisici e psichici sconosciuti e quindi “oscuri”. Come una luce nel buio la Dea segnala la strada ai viaggiatori aiutandoli a non smarrirsi nella traversata tra un mondo e l'altro, tra l'angoscia della perdita e la felicità del ritrovamento, tra il buio della “notte più lunga dell’anno” e il momento in cui la luce “rinasce” . Ecco allora che anche il grano, come il Sole scende sotto forma di energia vitale nella terra in autunno (discesa), dove crescere fino a riemerge aprendosi la strada nel buio del grembo materno in inverno (risalita): un chiaro parallelismo con il viaggio spirituale del profano (seme) che si trasforma in neofita (nuova pianta), per raggiungere la sua maturazione di iniziato (spiga).


UN CULTO MISTERICO FEMMINILE o MASCHILE?


All'inizio ho definito il Culto di Demetra come una religione “al femminile”, perché i personaggi chiave sono Dee, ma questo non deve fare pensare che all'epoca si trattasse di una religione rivolta solo alle Donne, anche laddove Erodoto dice che:

« Furono le figlie di Danao a portare dall'Egitto questo rito iniziatico e insegnarlo alle donne pelasgiche. In seguito, dopo che i Dori scacciarono l'intera popolazione dal Peloponneso, questo rito scomparve; dei Peloponnesi solo gli Arcadi, che erano rimasti senza migrare lo conservarono. »

Nelle fonti i Misteri vengono presentati come aperti e rivolti a tutta la popolazione, semmai, come spesso accadeva in altri culti della Dea Madre i ruoli più importanti non erano sempre ricoperti in ugual misura da sacerdotesse e sacerdoti. Forse per il passaggio da un'epoca neolitica più paritaria a un'epoca storica sempre meno disposta a dividere il potere e la conoscenza con le donne. Si trovano effettivamente più citazioni riferite a iniziati che a iniziate (le « Melissai) », le Api di Demetra). Si riscontrano comunque frammenti in cui si parla di Donne Ieronfantidi, e Donne che iniziano gli Ierofanti, cosa che induce a pensare che la tradizione mista dei clan familiari religiosi Eleusini riuscisse a conservare in parte le sue tradizioni e quindi a opporsi alla cultura e alla filosofia classica Ateniese, famosa per il suo maschilismo.

« ... le Ceropidi mi consacrarono ierofante di Deò» ; « È una famiglia di Atene, dalla quale era tratta la sacerdotessa di Demetra e Core; questa precedeva a iniziare i misti a Eleusi» ; « ... Lo ierofante, le ierofantidi, il daduco e le altre sacerdotesse portano una corona di mirto e per queste ragioni [Sofolcle] lo attribuisce come corona a Demetra.» ; « ... [Le ierofantidi] Quelle che fanno vedere gli oggetti sacri a chi viene iniziato.»


Il SIGNIFICATO SPIRITUALE del CICLO del GRANO.


Non bisogna pensare che il senso profondo di un culto antico, possa venir limitato da problematiche socioculturali e sessuali. Il vero ostacolo alla sua comprensione sono le informazioni insufficienti e la mancanza di testimonianze dirette, di conseguenza sento il bisogno di iniziare la seconda parte di questo studio ammettendo subito che per affrontarlo non potrò fare altro che muovermi nel terreno dell'opinione soggettiva, in base a un confronto quasi etnografico, tra i culti esoterici antichi e le mie esperienze nell'esoterismo del XXI secolo.


LA SPIGA


« La fioritura del Grano si verifica a 30 giorni circa dalla semina. I fiori sono a grappolo, dal colore bianco tendente al rossastro e sono di un effetto davvero spettacolare. Nell’arco di tempo che va dalla candelora alla primavera e dalla primavera all’estate, il frumento, subisce varie trasformazioni: dopo la semina la prima fase è la nascita della piantina di grano, quindi segue la germinazione, e poi vi è l’accestimento con la formazione di germogli laterali. Si succedono allora la Fioritura, durante la quale avviene la fecondazione del fiore (gli stami fecondano l'ovario dello stesso fiore) ed alla fine si verificano la levata, allungamento dello stelo, e la spigatura, formazione delle spighe e conseguente maturazione. L’epoca in cui il frumento viene raccolto varia a seconda della varietà del grano, del clima e della zona di coltivazione: luglio-agosto nel settentrione, in montagna, maggio-giugno nel meridione. Il Taglio delle piantine viene eseguito a mano con la Falce Messoria, formata da una lama curvata ad arco (cfr. il crescente lunare e le corna del toro) con immanicatura in legno. I fasci di grano vengono legati a formare il Covone nell'intento di effettuare una prima essiccazione del prodotto in modo che il grano si separi più facilmente dallo stelo durante la successiva fase di battitura. I covoni vengono disposti sul campo in mucchi allungati o circolari e lasciati a completare completino la maturazione (stagionatura). Con l’operazione della battitura si tende a separare il grano giunto a maturazione dalla paglia e dagli steli. Dopo la battitura, si passa il grano al Vaglio, cioè si setaccia per dividere nuovamente il grano dalla pula, ma soprattutto i semi buoni da quelli vuoti. Il grano, ripulito, viene diviso in una parte destinata in fasi successive alla macina del molino, per essere ridotto in farina ed in parte per essere messo da parte per la prossima semina.»


Queste descrizioni tecniche moderne, sono importanti per illudersi di riuscire a penetrare almeno un poco le simbologie dei culti misterici antichi. Uno strumento rituale importante sia nel culto di Dioniso che di Demetra era per esempio il Vaglio, il cui significato come strumento iniziatico è palesato dal suo stesso utilizzo. Un altro elemento che collega tecniche agrarie e misteri spirituali si trova nella Villa dei Misteri di Pompei, legata al culto di Dioniso, dove vi è l’immagine di una divinità alata e nuda, (simile ad una nike vittoriosa), che batte con una frusta una iniziata appoggiata sulle gambe di un’altra donna, situazione che ricorda il metodo di battitura al banco del grano, quando viene percosso con un bastone sopra una panca, palesando non solo un simbolismo di fertilità, come nelle feste romane dei Lupercali, ma anche una pratica di purificazione e forse una tecnica di trance indotta.

Anche nei miti Cananei c’è una illuminante immagine che esprime la lotta degli elementi e l’azione traumatica e violenta della battitura. La Dea Anat adirata con il dio Mot, il dio sotterraneo dei morti, per scongiurare la siccità decide di convincerlo a rimandare in cielo il dio Baal, il dio della pioggia, nonché fratello e marito di questa , usando “periodicamente” le maniere forti, trattandolo, cioè “come un grano da semina” :

« […] lo afferrò e lo spaccò in due con la spada, lo bruciò con il fuoco e lo pestò con macine da mulino, poi lo gettò in un campo e gli uccelli predarono le sue carni».

Tornando a Eleusi, una fonte cristiana, ci rivela invece che il momento più importante del rituale eleusino era l’essere ammessi alla “contemplazione” della spiga di grano mietuta in silenzio.

« […] gli Ateniesi, nell’iniziazione di Eleusi, mostrano a coloro che sono ammessi al grado supremo [epopteuosi] il grande e mirabile e perfettissimo mistero [mystêrion] visionario di là: la spiga di grano mietuta in silenzio. Lo ierofante in persona … che si è reso impotente con la cicuta e si è staccato da ogni generazione carnale, di notte a Eleusi, in mezzo alla luce delle fiaccole, nel compiere il rituale dei grandi e ineffabili misteri, grida e urla proclamando: ‘Brimò Signora ha generato il sacro fanciullo Brimós!’ »

Il neofita, come Persefone, è simile a un seme , che si trasforma in germoglio, mette radici e si fa strada nella Terra per realizzare la sua potenzialità. Egli insegue “egoisticamente” la sua realizzazione per tutta la prima fase della sua vita iniziatica. Non pensa ad altro che a se stesso, a diventare ciò che sente di poter essere, finché non arriva il tempo in cui come la spiga deve essere mietuto. Muore allora il neofita e nasce l'iniziato, il frutto della dea che si unisce alla comunità dei fratelli entrando in una dimensione spirituale più altruistica. L'iniziato come la spiga mietuta offre dunque se stesso e i suoi semi, cioè la ricchezza della sua esperienza personale, che nel tempo ha “maturato” e può ancora “perfezionare”. Questo viaggio ha la sua perfetta corrispondenza nel ciclo astrologico stagionale: il germoglio nato in febbraio, si fa audace a Marzo, nella Casa dell'Io, ma anche della Primavera e dello spirito irruento e adolescente dell'Ariete il cui unico desiderio è quello di brillare nel sole del Leone. Nel momento in cui la spiga raggiunge il suo massimo splendore viene mietuta e accolta nella VI casa, nel grembo della Vergine dedita al servizio per gli altri, sotto l’influsso del riflessivo e psicopompo Mercurio. Poiché la spiga morendo dona nuovi semi, (future spighe), allo stesso modo l’essere umano uscendo dalla fase dell’Io voglio e accede alla VII casa, quella delle relazioni con l'altro, la casa della Bilancia, dell'Autunno e della Nuova Semina. Se lo ierofante eleusino si rendeva davvero impotente con la cicuta, come dice Ippolito, allora forse lo faceva in analogia con il significato della spiga mietuta per testimoniare la sua rinuncia alla procreazione e ai valori materiali, in favore di quelli spirituali. Lo stesso si dice facessero i sacerdoti di Cibele che si eviravano e donavano i loro testicoli pieni di potenza generativa, alla grande Dea Madre Frigia. Nelle melagrane di Cibele, come nelle spighe di Demetra, vi sono infatti molti semi (la comunità degli iniziati) che sono tutti figli e fratelli nella Dea.

Il NARCISO

« Comincio a cantare Demetra dai bei capelli, dea venerabile,e la sua figliola dalle caviglie sottili, che Adoneo rapì – glielo concesse Zeus onniveggente, signore del tuono, ingannando Demetra. [...] Coglieva le iris e il giacinto, e anche il narciso – insidia per la tenera fanciulla - che la Terra generò su richiesta di Zeus, per compiacere il signore infernale: straordinario fiore splendente, prodigiosa visione per tutti quel giorno, sia per gli dèi immortali che per gli uomini mortali. Dalla sua radice erano sbocciate cento corolle, e al suo profumo fragrante sorridevano l'ampio cielo e tutta la terra e la salsa distesa del mare. Stupita, la fanciulla protese entrambe le mani per cogliere il bel balocco: ma l'ampia terra si aprì nella pianura di Nisa, e ne uscì con i suoi cavalli immortali il signore che ha molti nomi e molti sudditi, figlio di Crono. Afferrò la ragazza e la condusse via sul suo carro d'oro. Ed essa riluttante e in lacrime mandò un grido altissimo [...]»


Il fiore del Narciso contiene una narcotossina così potente che già solo il suo profumo può dare senso di torpore. Questa proprietà, espressa dal suo nome greco narkw, « intorpidisco, irrigidisco », lo pone “teoricamente” tra le “erbe magiche e piscotrope” in grado di far entrare in uno stato lievemente alterato di realtà. Di certo non si tratta di un fiore comune, perché il suo nome compare nell'omonimo mito di Narciso, il cui simbolismo gravita intorno a uno strumento iniziatico molto importante: lo specchio, presente anche nei misteri dionisiaci.

Il fiore di narciso, « insidia [...] la fanciulla dal roseo volto », creando un gioco di specchi (« dalla sua radice erano sbocciati 100 fiori » ) che le impediscono di vedere oltre il desiderio immediato di possedere quella stessa immagine. Distratta e «attonita » si rende vulnerabile e viene rapita mentre protende « le due mani insieme per cogliere il bel giocattolo » . Parallelamente, Narciso si innamora dell'immagine effimera di un amante inesistente. Scambia se stesso per quel che vuole vedere e inseguendo un pallido riflesso cade nell’acqua e affoga. In entrambi i racconti è presente un inganno, ma mentre Persefone si trasformerà da sprovveduta adolescente in regina del suo mondo interiore e esteriore, “maturando”, Narciso, invece, pagherà con la vita il suo profondo egocentrismo e disprezzo per gli altri che finisce per estraniarlo dalla realtà.

LA FARINA

Con lo stesso strumento con cui da neofita divideva il “grano dalla pula”, il suo vero Io dalle voci confuse e contrarie, i pregi dai difetti, la verità dalla paura, ancora più severamente l'iniziato continua a dividere i semi pieni da quelli vuoti, per rilasciare nella terra solo le azioni migliori. Pronto a dare il suo contributo nel mondo destina parte delle sue energie per i nuovi germogli, parte per i suoi fratelli, parte per tutti gli altri. L’iniziato non si risparmia, perché sa che un altro modo per rendersi utile è quello di raffinarsi ulteriormente trasformandosi in farina, e per questo può “macinare se stesso nella ruota della solidarietà e del sostengo reciproco”. Ad ogni rito rinnova il patto di alleanza con la Dea, per garantire la continuità dei misteri, che nelle fasi più antiche coincide con la vita stessa della società rurale. Nella sacra mensa si celebra l’unione e la fratellanza dei fedeli di Eleusi che mettono in comune frutti, talenti e obbiettivi, attraverso la condivisione del pane e del ciceone. Questi vengono preparati mescolando insieme alla farina del proprio sacco, (il lavoro su se stessi) la carne e il latte della Dea, con i quali Madre Natura sostiene i suoi figli.


LA MELAGRANA


Il melograno è un alberello spinoso originario delle regioni a sud del Caucaso, a nord dell'India, presente dall'Afghanistan alla Persia. Da millenni il suo frutto, simile nella forma all’utero materno, alle ovaie femminili, (ma anche ai testicoli maschili) è simbolo di fertilità, sorellanza/fratellanza e solidarietà. Il suo significato di fertilità e quindi di rinascita, la sua comparsa in autunno, ha fatto si che fosse considerato un cibo particolarmente gradito ai defunti, perché associato alla vita dopo la morte, così come si vede nell’escatologia etrusca nella quale le libere donne etrusche ci guardano sontuosamente distese sui loro sarcofagi tenendo in una mano una melagrana e nell'altra un ventaglio a forma di palma, altro simbolo solare di resurrezione attribuito alla Dea Madre. Il fatto che Ade cerchi di non perdere l'amata Persefone facendole mangiare un chicco di melagrana e che lei accetti, fornisce una spiegazione mitologica dei meccanismi biologici dell'agricoltura, ma supporta anche l'idea che gli Eleusini credessero nell'immortalità dell'anima come gli Egiziani:

« Figlia, non avrai certo mangiato del cibo là sotto? Parla non nascondermi nulla. [...] Se no, scendendo di nuovo nei recessi della terra vivrai laggiù ogni anno per un terzo delle stagioni e per gli altri due terzi con me e con gli immortali. Non appena la terra a primavera si coprirà di fiori profumati e variopinti, dalla tenebra densa risalirai, grande prodigio per gli dèi e per gli uomini immortali. »

Quello che appare come un triste destino per Persefone, rappresenta in realtà il miracolo della vita che si rinnova, un prodigio che per gli esseri umani ha rappresentato non solo la possibilità di una svolta evolutiva, ma anche la speranza di una vita felice dopo la morte. Persefone, passando una parte dell'anno con il suo Compagno, come Regina dell'Aldilà, estende infatti l'influenza della Vita nel mondo della Morte:

« O tre volte beati i mortali, che visti quei misteri, vanno nell'Ade, perché solo per essi laggiù c'è vita, mentre per gli altri, non vi è che male» ; « [...] Sembra che coloro che vengono iniziati siano destinati a stare tra i pii... [...] ... Sembra che nell'Ade gli iniziati godano di maggiori privilegi rispetto ai non iniziati.»


I MISTERI


Parallelamente al culto agricolo si svolgevano celebrazioni a carattere iniziatico. Di questi riti abbiamo informazioni assai scarse e frammentarie pervenuteci per lo più in forma sincretistica, secondo la tendenza eclettico-ellenistica del tempo, che tendeva a sovrapporre e mescolare religioni diverse o attraverso fonti cristiane il cui scopo non era capire, ma denigrare le altre fedi. Il Culto di Eleusi si celebrava nel santuario di Demetra e di Persefone, alle pendici di una collina in posizione bassa ed esterna rispetto alla acropoli di Eleusi (24 km nord-ovest di Atene). Era esplicitamente indicato nel fitto calendario di festività religiose ateniesi con la formula « ta Mystêria », traducibile con “cerimonie” o “pratiche segrete”. Questa parola finì per denotare tutte le manifestazioni religiose diffuse in Grecia e in Magna Grecia, che prendevano come modello i Misteri Eleusini. Sinonimo di « Mystêria » era « Mystiká » che indicava “le cose indicibili dei misteri” , ovvero le segrete pratiche rituali. Gli autori greci cogliendo nei culti stranieri delle analogie con i loro misteri, (le cui sfumature a noi sfuggono), per esigenze di traduzione chiamarono anche i riti agrari orientali con l’aggettivo Mysteria. Erodoto per esempio lo usò per indicare i Misteri di Iside e Osiride, ma chiamò «Teletè» le Tesmoforie di Demetra. Due termini che in età ellenistica divennero interscambiabili, anche se nel testo greco dell’Inno a Demetra per indicare la pratica rituale eleusina, non si usa mai altro termine che Orghia, da cui deriva l'aggettivo orgiastico, in origine voleva dire semplicemente «l'azione del rituale, l'agire sacro», ma a causa del discredito gettato sui culti pagani dai padri della chiesa, divenne sinonimo di rituale avente a che fare con pratiche sessuali, mente il termine mysteria subì uno slittamento semantico a opera delle reinterpretazioni filosofiche e cristiane tardo antiche, che la portarono ad accogliere in sé significati come: “arcano”, “segreto”, “mistico”, “verità trascendentali che vanno oltre la sola comprensione razionale”.


IL RITUALE


Parte integrante del rituale misterico era la segretezza sottolineata da due aggettivi « arretha » , “ciò che non va detto, in quanto esperienza personale incomunicabile a parole”, che richiede di vivere il rito di persona e « aporrheta», “ciò che è indicibile perché è proibito parlarne”, ovvero l’obbligo a non rivelare i segreti del rito:


« [la Dea] mostrò loro l'esecuzione dei riti e rivelò a tutti - a Trittolemo, a Polissero, e inoltre a Diocle – i sacri misteri, che non è consentito profanare, né indagare, né rivelare, poiché la reverenza per le Dee frena la voce» ;« ... Le iniziazioni hanno tramandato alcune lamentazioni celebrate in segreto di Core , di Demetra e persino della stessa grandissima madre»


Tutto quello che sappiamo su questi riti misterici è che erano divisi in una sorta di Primo e Secondo Grado. Nel mese di Antesterione (febbraio/marzo) si celebravano i Piccoli Misteri di Persefone mentre i Grandi Misteri di Demetra appartenevano al mese di Boedromione.


« Ogni anno si celebrano due culti misterici in onore di Demetra e Core, i piccoli e i grandi. I piccoli si configurano come purificazione e conseguimento di uno stato di prezza, preliminari ai grandi misteri». « ... Per prima cosa, infatti, bisogna deporre la rozzezza, e contemplare i piccoli misteri prima dei grandi e danzare prima di essere daduco, ed essere daduco prima che ierofante.» ; « ... dopo essere stati iniziati ai piccoli misteri prima che ai grandi, ... niente è di ostacolo alla ierofania realmente divina, una volta che sia stato preliminarmente purificato e delineato ciò che deve essere prima indagato e spiegato.» ; «L'iniziazione si articola in cinque tappe; per prima viene la purificazione; [...] Dopo la purificazione la seconda tappa è costituita dalla trasmissione dei riti iniziatici misterici; la terza è quella denominata contemplazione (epoptia); la quarta, e questo è anche il compimento della contemplazione è la legatura e l'imposizione delle corone, ... la quinta è rappresentata dalla felicità che ne consegue in ragione del favore divino e della convivenza con gli dèi... » ; «... Sono detti contemplanti coloro che a eleusi vengono iniziati al secondo grado iniziatico [...] »


Come il resto della cultura greca, i Misteri non rimasero monopolio delle sole città di Eleusi e Atene, ma attraverso le loro colonie si diffusero per tutto il Mediterraneo. Questo fa supporre che dovettero per forza essere introdotte delle modifiche alle leggi rituali, in quanto le antiche famiglie che detenevano il controllo sul culto, non potevano trasmettere la loro autorità al di fuori dalla Grecia avvalendosi solamente dei loro parenti più prossimi: non ci sarebbero stati abbastanza “consanguinei”. È molto probabile, quindi, che dovettero avvalersi dei loro stessi sacerdoti dando inizio al « mito » delle catene iniziatiche “ininterrotte” :


« ... l'iniziazione sia di competenza di tutti i Cerici e di tutti gli Eumolpidi »;

«gli Eumolpidi sono una famiglia che discende da Eumolpo. Essi sono coloro che iniziano ai misteri. Tra di essi venivano designati il daduco e lo ierofante. [...] Ad Atene si designava lo ierofante di Demetra tra gli Eumolpidi, il daduco tra i Cerici» ; « La Legatura e l'imposizione delle corone, così che si possano trasmettere anche ad altri i grandi gradi iniziatici ricevuti, se si ottiene di coprire l'ufficio di daduco o di ierofante o qualunque altro sacerdozio».


I rituali misterici “comprendevano" :


1. le cose dette, i légomena, le formule sacre, i giuramenti, la recitazione di una storia sacra probabilmente la rappresentazione drammatica e catartica delle vicende delle due Dee;


«... Deò e Core sono ormai divenute il soggetto di un dramma misterico ed Eleusi ne celebra, con le fiaccole e le peregrinazioni , il rapimento e il lutto»


2. le cose fatte, i drómena, cioè le azioni rituali compiute, comprese le danze, le decorazioni, le corone, di più tipi a seconda forse del grado, le vesti sacre, forse anche tatuaggi e cicatrici, cioè segni con i quali dimostrare esteriormente alla società i simboli e i marchi della avvenuta trasformazione interiore, guadagnati attraverso le prove rituali;


«... Era usanza consacrare nel tempio di un dio le vesti con cui si era stati iniziati, come dice pure Melanzio nella sua opera sui Misteri:” È tradizione che gli iniziati consacrino alle dee anche gli abiti con cui siano stati iniziati” .» ; « Coloro che venivano iniziati ai grandi misteri, allo stesso modo di quando scendevano nell'antro di Trofonio, non deponevano le vesti con cui erano stati iniziati o fino alla morte o fino a che queste non fossero completamente consumate» ; «E perciò si rende una tortura l'accesso [che si prolunga il rito iniziatico] prima di apporvi il sigillo della consacrazione e preparano i futuri epopti per cinque anni [...] Ne discende la legge del silenzio. [...] per cui sulla lingua è posto per intero il sigillo del segreto [...]» ; « ... i misti si legano la mano destra e il piede sinistro con un pezzo di stoffa, e ciò è “detto coronare lo zafferano” .» ; « Gli iniziati usavano una corona di mirto e non di edera e parimenti nelle Tesmoforie si usavano una corona simile perché Demetra gradiva il mirto e perché era consacrato agli dèi ctoni.» ;« Non si dice che il narciso è una corona di Demetra e Core perché esse erano incoronate di spighe; ... ma è possibile che Sofocle abbia detto che il narciso era un'antica corona delle grandi dee, usando la forma collettiva invece di dire che era un'antica corona della dea, cioè di Core ... perché prima di essere rapita da Plutone se ne compiacque. [...] Da parte sua Istro dice che la ghirlanda di Demetra è composta di mirto e tasso»

3. gli oggetti sacri i deiknumena, mostrati solamente agli ammessi al rito e attraverso i quali era possibile la epopteia, o “contemplazione”, il più alto grado dei misteri eleusini.


L'EPOPTEIA


La “contemplazione”, nel senso di conoscenza ottenuta durante i Misteri non era di tipo dottrinale, ma un tipo di sapere che nasceva da una esperienza sacrale, vissuta in prima persona come momento mistico attraverso il quale si veniva rassicurati sul senso della vita terrena e sulla continuità della vita dopo la morte:

«... come ritiene Aristotele, gli iniziati non devono apprendere ma patire e trovarsi in una certa disposizione, evidentemente perché vi sono già predisposti. [...] L'insegnamento e l'iniziazione. Il primo è raggiunto per mezzo dell'udito, la seconda perché la mente stessa subisce l'illuminazione » Ciò fu anche chiamato da Aristotele di tipo misterico e simile alle iniziazioni di Eleusi (dove infatti chi veniva iniziato alle visioni riceveva una impronta, ma non un insegnamento.» «... Siamo stati iniziati ai misteri della festa, cioè abbiamo avuto conoscenza degli indicibili oggetti dei misteri, che non si possono rivelare a chi non è iniziato. Sono infatti detti misteri perché stringono le labbra, cioè agli iniziati chiudono la bocca e non ne parlano con nessuno dei non iniziati .» « ... Il pensiero dell'intellegibile, puro e semplice, attraversa l'anima balenando come un lampo, offrendo talora per una sola volta l'opportunità di toccare e contemplare. Perciò Platone e Aristotele chiamano “epoptica” questa parte della filosofia perché chi ... ha davvero toccato la pura verità di esso (cioè del principio semplice e immateriale), ritiene di possedere, come in una iniziazione, il fine ultimo della filosofia».


IL MISTERO


Durante il periodo ellenistico le mutate condizioni politiche, sociali ed economiche, offrivano la possibilità di essere iniziati a più culti nella stessa città e molti riti misterici orientali e greci, simili per caratteristiche, significati e origine, tesero a (ri)fondersi. Questo accadde anche al culto di Eleusi se le confutazioni dissacratorie e denigratorie di Tertulliano e altri vescovi cristiani parlano non solo della contemplazione della « spiga di grano mietuta in silenzio», ma anche della « rappresentazione del membro virile» e fanno allusioni riguardo a convegni notturni tra sacerdotessa e sacerdote, da cui poi il significato sessuale della parola “orgiastico”, collegato soprattutto a Dioniso:

« E la formula rituale dei misteri eleusini è questa: ho digiunato, ho bevuto il ciceone, ho preso dalla cesta, dopo aver maneggiato ho riposto nel canestro, e dal canestro nella cesta.» ; « non è forse vero che i misteri di Eleusi sono l'essenza della tua religione e che il popolo dell'Attica e l'intera Grecia vi accorrono per celebrarne la vanità? Non è l che si celebrano la tenebrosa discesa agli Inferi e i solenni convegni dello ierofante con la sacerdotessa , da solo a sola? ....»

La presenza del Sacro Fallo di Dioniso, mostrato agli iniziati nella Sacra Cesta di Demetra, così come visibile nella Villa dei Misteri di Pompei, rappresenta l'unione cosmica e prolifera della Yoni e del Lingam indiani, in forma “greca”. Solo le menti dei Cristiani del II - III sec. d. C. e dei non iniziati potevano ritenere “vergognose” , azioni riconducibile al “miracolo della vita che si ripete”, anche se elementi come nozze sacre e bambini non sono presenti nel racconto eleusino del VII-VI secolo a. C. :


«... Le leggi consuetudinarie degli Ateniesi ... prescrivono di celebrare le nozze prima per il cielo e per la terra, .... pure durante i riti di Eleusi alzando lo sguardo al cielo gridavano “ Piovi” e abbassandolo a terra “Resta gravida”» ; «Questo è il grande e ineffabile mistero degli Eleusini: “Piovi, resta gravida”.» ; «.... gli Ateniesi, quando celebravano l'iniziazione eleusina mostrano agli iniziati al grado della contemplazione, in silenzio, quello che è il grande e straordinario e perfettissimo mistero dell'aldilà, oggetto di contemplazione, la spiega mietuta. .... Lo stesso ierofante ... di notte a Eleusi, accompagnato dalla luce di molte fiaccole, quando celebra i grandi e indicibili misteri grida e urla mentre recita ad alta voce “ La potente signora Brimò generò il sacro fanciullo Brimòs” cioè la potente generò il potente»


Con chiaro significato ierogamico e sincretico i banchetti liturgici di molte religioni misteriche, compreso il Cristianesimo, accolgono in un unico sacramento il sangue di Dioniso e il Pane di Demetra, perchè come affermava Euripide:


« Due sono, mio caro giovane, le cose essenziali al mondo: la dea Demetra, ossia la terra (chiamala così, se vuoi): è lei a nutrire la gente con i cereali, con il cibo asciutto. Poi è venuto il figlio di Semele [Dioniso]; e ha trovato un corrispettivo, l’umido succo della vite, e lo ha introdotto fra i mortali.»


Nei Misteri Eleusini, fa quindi la sua comparsa Dioniso, così come in quasi tutti gli altri culti greci (!), ma nonostante gli aspetti mitologici della sua vita racchiudono similitudini sia con il mito di Osiride che con quello di Demetra, i due culti, appaiono ben distinti. Strabone per esempio dice che « Iacco Dioniso», viene chiamato « l'archegete dei misteri, il dèmone di Demetra », ma subito dopo sottolinea come le due divinità abbiano ministri del culto diversi:


« [...] di Demetra sono gli iniziati, i daduchi e gli ierofanti, di Dioniso i Sileni, i Satiri, i Titiri, le baccanti, le Lenai, le Tiadi, le Mimalloni, le Naidi e quelle che chiamano Ninfe.»


Rifacendomi a questa stessa divisione, anche io termino qui la mia riflessione sui Misteri di Demetra, preferendo approfondire la figura del dio dell'ebrezza in uno studio a parte, così da tenere distinte le competenze, le peculiarità e le gesta della Grande Dea Madre Eleusina, rispetto a quelle del dio del vino, come lei stessa suggerisce di fare nel testo più antico che la riguarda:


« Metanira riempì e le porse una coppa di vino mielato, ma la dea scosse il capo: non le era lecito – disse – bere il rosso vino, e chiese una bevanda d'acqua e farina mescolate con tenera malva. La donna preparò il ciceone e lo diede alla dea, secondo il comando; lo prese Demetra, augusta signora, e instaurò il rito.»

venerdì 2 agosto 2024

Lughnasad/Lammas

 

Lughnasadh "Festival di Lugh" (o "matrimonio di Lúg") è una festa tradizionale gaelica celebrata il primo di agosto, a metà strada tra il solstizio d'estate e l'equinozio d'autunno, da questa importante festa il mese in gaelico ha ereditato il nome (e non il contrario). In origine era legata al raccolto, corrisponde all'inglese Lammas, dall'inglese arcaico Hlaf Mæsse "Raduno del pane".



Nel neopaganesimo e in particolare nella wicca Lughnasadh (o anche Lúnasa o Lughnasa) è uno degli otto sabbat (celebrato il 1º agosto nell'emisfero nord), il primo dei tre che celebrano la stagione del raccolto (gli altri sono Mabon e Samhain). La festa ricorda il sacrificio del Dio (sotto forma di grano): nel suo ciclo di morte (per dare nutrimento alla popolazione) e rinascita, il grano veniva identificato come uno degli aspetti del dio Sole, che i gaelici chiamavano Lúg.


Viene anche usato il nome Lammas preso da una festa anglosassone poi cristianizzata che si svolgeva nello stesso periodo, che potrebbe o meno avere la stessa origine. Come indica il nome (da loaf-mass, "festa dei pani"), si tratta di una festa di ringraziamento per il pane, che rappresenta il primo frutto del raccolto.


Alcuni neopagani celebrano la festa cucinando una figura del Dio fatta di pane per poi sacrificarla e consumarla ritualmente.

In questo periodo c’è anche la Cerimonia della Veglia per il dio del sole (Lugh), che si festeggia con danze, giochi e fuochi.
E’ anche la Festa delle dee Diana e Artemide.
Per i cristiani è San Pietro, e viene distribuito del pane benedetto.
Momento molto adatto alla meditazione e alle attività spirituali.

Lughnasadh/Lammas segnava l'inizio della stagione dei raccolti e tutti i riti di Lughnasad erano tesi ad assicurare una stagione ricca di frutti , in previsione dei freddi e sterili mesi invernali.
Si praticava anche la raccolta dei mirtilli a scopo divinatorio: se i mirtilli erano abbondanti, si riteneva che il raccolto sarebbe stato più che sufficiente.
All'alba della vigilia di Lughnasad si costruivano piccole capanne coperte di fiori, possibimente vicino a corsi d'acqua, dove gli innamorati dormivano insieme la notte del 31 Luglio.
A Lughnasadh si onoravano Lug, Dio associato sia con il Sole che con la fertilità agricola, e Arianrhod, Dea delle Luna e dell'Aurora. In loro onore si tenevano gare di destrezza fisica
.




Il dio Lugh
Molti luoghi dedicati a Lugh nell'Europa centrale e occidentale testimoniano l'importanza del dio tra i Celti (diversi luoghi venivano chiamati Lugudunon, “il forte di Lugus”). L'antico nome Lugus sembra significhi “lucentezza, illuminazione”, e, sebbene ciò sembra ricollegarsi puramente alla stagione del raccolto, è connesso anche a tutte le capacità “
Brillanti” della mente umana.
Lugh è legato all'intelligenza, a come essa porti alla supremazia della mente sui problemi. Mentre Brigit, la Musa, procura l'energia pura necessaria per lo sforzo creativo, Lugh, l'artista perfetto, sa come forgiare tale energia.
Lugh è esperto in tutte le arti, dalla poesia alla metallurgia, dall'arte della guerra alla musica.
Dovevano esistere diverse variazioni locali della storia di Lugh, che purtroppo sono state dimenticate (nonostante ciò alcuni frammenti di tali storie sembrano essere sopravvissuti attraverso altri personaggi, come nel caso della storia di “Jack il Calderaio” della Cornovaglia). La nascita di Lugh avviene in un periodo di tensioni e pericoli. Il dio è figlio di Cian, figlio di Dian Cécht, e di Eithne, figlia dell'invincibile campione Balor, colui il cui occhio inceneriva tutto ciò su cui si posava. Lugh rappresenta la possibile riconciliazione tra Danai e Fomori (tra saggezza e forze del caos). Poiché la sua esistenza è un pericolo per Balor (secondo una profezia sarebbe stato ucciso dal nipote), appena nato viene nascosto e, come Mabon, svanisce dalla terra ed è ospitato da Manannàn Mac Lir, custode delle profondità marine, dove apprende l'arte della poesia. Cresciuto, Lugh reclama il suo posto a Tara, tra i Tuatha Dé Danann. Come membro dei Danai, partecipa alle lotte contro i Fomori e alla fine distrugge l'occhio del nonno Balor. I Fomori non sono più invincibili e il raccolto è al sicuro.

Secondo la tradizione gallese, egli è figlio di Arianrhod, la Dea Bianca, e di Gwyddyon, suo fratello. La madre, insofferente al nascituro, getta sul bambino tre geasa (divieti). Il bambino non deve avere un nome a meno che non gli venga dato dalla dea stessa, non può possedere armi se non donate da lei e non può avere in sposa una fanciulla mortale. Attraverso l'ingegno del padre Gwyddyon il bambino riesce ad aggirare i geasa , riuscendo ad avere un nome (la madre, stupita dalla sua abilità esclamò: Lleu Llaw Gyffes, che significa “Il leone ha la mano ferma” e che quindi divenne il nome del giovane dio), ad avere le armi (attraverso un travestimento fu la dea stessa a metterle nella sua mano) e una bellissima donna non mortale (venne creata dal padre mediante la magia e l'uso di nove fiori e il suo nome è Blodeuwedd, che significa appunto “viso di fiori”). Blodeuwedd tradisce il marito, riferendo all'amante Grown Pebr il suo punto debole, ma Lleu riusce a salvarsi e a sconfiggere il nemico. Blodeuwedd viene invece tramutata in gufo.

Lugh è l'archetipo dell'eroe salvatore, colui che porta il lieto fine. Come Odino nella mitologia norrena, Lugh possedeva dei corvi profetici secondo le fonti più antiche. I Romani lo associarono a Mercurio (ciò si ritrova nel De bello gallico di Cesare) e ad Apollo-Febo.