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mercoledì 30 ottobre 2024

Lacnunga (Rimedi) - Testi medici e preghiere antiche anglosassoni



La Lacnunga ('Rimedi') è una raccolta di testi medici e preghiere anglosassoni vari, scritti principalmente in inglese antico e latino. Il titolo Lacnunga , una parola inglese antica che significa 'rimedi', non è nel manoscritto: fu dato alla raccolta dal suo primo curatore, Oswald Cockayne, nel diciannovesimo secolo. Si trova, dopo altri testi medici, nell'Harley MS 585 della British Library , un codice probabilmente compilato in Inghilterra alla fine del decimo o all'inizio dell'undicesimo secolo. Molti dei suoi rimedi erboristici si trovano anche, in forma variante, nel Bald's Leechbook , un altro compendio medico anglosassone.


Il Lacnunga contiene molti testi unici, tra cui numerosi amuleti , alcuni dei quali offrono scorci rari sulla religione popolare anglosassone e sulle pratiche di guarigione. Tra gli amuleti ci sono diversi incantesimi in versi allitterativi in ​​inglese antico, i più famosi dei quali sono quelli noti come For Delayed Birth , Nine Herbs Charm e Wið færstice ('Contro un dolore improvviso e lancinante'). Ci sono anche diversi amuleti in irlandese antico corrotto .


Tra le preghiere latine, la più lunga è una redazione della Lorica di Laidcenn (in passato spesso nota come Lorica di Gildas ). Questo poema irlandese del settimo secolo, conservato anche in altri manoscritti, è un membro del genere lorica delle preghiere protettive. Questa istanza assume la forma di una lunga litania di parti del corpo per le quali il parlante cerca la protezione di Cristo e di una moltitudine di angeli dagli assalti dei demoni . È accompagnato in questo manoscritto da una glossa interlineare in inglese antico, che probabilmente deriva da un esemplare nel dialetto merciano.

L'Incantesimo delle Nove Erbe - Tratto dal Lacnunga

 

L'incantesimo delle nove erbe, in inglese moderno Nine Herbs Charm, è un incantesimo in antico inglese del 9° o 10° secolo registrato nel manoscritto Lacnunga (una raccolta di metodi pagani di cura) del 10° secolo (Gordon, R. K., Anglo-Saxon Poetry, Everyman's Library #794, 1962, M. Dent & Sons, LTD).

L'incantesimo è inteso per il trattamento dell'avvelenamento e dell'infezione tramite una preparazione con nove erbe.



I numeri nove e tre sono citati numerose volte all'interno dell'incantesimo e sono numeri significativi nel paganesimo germanico, e più tardi nel folklore germanico (Macleod, Mindy; Mees, Bernard, Runic Amulets and Magic Objects, Boydell Press, 2006).

Il poema contiene riferimenti sia a elementi pagani inglesi che ad elementi cristiani, incluso un cenno alla divinità principale germanica, Odino.

Secondo R. K. Gordon, il poema è "sicuramente qualcosa di anticamente pagano che è stato soggetto alla censura cristiana" (Gordon, R. K., cit.).

Malcolm Laurence Cameron propone un valore psicologico per il componimento, sostenendo che cantare i suoi versi risultava, per gli "antichi" pazienti, in un "effetto meravigliosamente incantatorio" (Cameron, Malcolm Laurence, Anglo-Saxon Medicine, Cambridge University Press, 1993).





L’incantesimo fa riferimento a nove erbe: Mucgwyrt (Artemisia vulgaris), Attorlaðe (identificata da R. K. Gordon (op. cit.) come il giavone (Echinochloa crus-galli), definita da altri come betonica comune (Stachys officinalis), Stune (Cardamine hirsuta); Wegbrade (piantaggine, ovvero Plantago sp.); Mægðe (Matricaria, ovvero camomilla), Stiðe (ortica; Urtica sp.), Wergulu (melo; Malus sp./Pyrus sp.), Fille (timo; Thymus sp.) e Finule (finocchio selvatico; Fœniculum vulgare).



Alla fine dell’incantesimo vengono date istruzioni in prosa per prendere le suddette erbe, pestarle fino a polverizzarle, mischiarle poi con sapone vecchio e succo di mela.

Ulteriori istruzioni indicano di fare una pasta di cenere e acqua, bollire il finocchio nella pasta, mischiarla ad uovo battuto - entrambi prima e dopo l’applicazione del balsamo preparato -. Inoltre, l’incantesimo indica al lettore di cantare le parole tre volte per ognuna delle erbe, mela inclusa, prima che esse siano preparate, mentre si mettono nella bocca del ferito, su entrambe le orecchie, e sulla ferita stessa prima dell’applicazione del balsamo.

Il poema contiene una delle due menzioni di Odino in antico inglese (l’altra è Maxims I nell’Exeter Book).

Il testo indica quanto segue:

“un serpente giunse strisciando, morse un uomo.

Poi Odino prese nove rametti gloriosi, distrusse il serpente così che esso volò via in nove parti.

Poi la mela fece sì da passare attraverso il veleno, così che il serpente non sarebbe più entrato in casa”.

Alcuni hanno suggerito che questo passaggio descrive Odino che chiede aiuto alle erbe tramite l’uso da parte sua dei nove rametti, su ognuno dei quali era stata incisa l’iniziale del nome della pianta in caratteri runici (Mayr-Harting, Henry, The Coming of Christianity to Anglo-Saxon England, 1991, Penn State Press).

Il testo consiste di tre parti: l'incantesimo delle erbe, la formula magica e la ricetta.

Ci si rivolge a turno a nove erbe e vengono dati i motivi per l'azione da intraprendere. Quest'ultimo aspetto è spesso fatto per analogia: la resistenza della piantaggine ai bordi della strada, ad esempio, dovrebbe essere trasferita al paziente:

Ond þu, wegbrade, wyrta modor,

eastan Openo, innan mihtigu;

ofer dE crætu curran, ofer dE cwene reodan,

ofer dE bryde bryodedon, ofer þe fearras fnærdon.

Eallum þu Thon wiðstode and wiðstunedest;

swa ðu wiðstonde Attre and onflyge

and þæm Ladan þe lond geond Fered

"E tu, piantaggine, madre delle erbe,

aperta a oriente, potente dentro;

carri passano su di te, la regina cavalca su di te,

urlano su di te le spose, rumorosi buoi.

Tu puoi resistere a tutto e resistente rimani in piedi;

così tu puoi resistere ad ogni veleno e contagio

e all'odiato (il nemico) che attraversa il paese"

(versi 7-13).

È stato possibile identificare chiaramente le erbe solo in parte:

mucgwirt = inglese Mugwort, latino Artemisia vulgaris (artemisia)

wegbrade = inglese Plantain, latino Plantago maior (piantaggine)

stune = inglese Lamb's cress, latino Cardamine hirsuta ma anche inglese Corn salad, latino Valerianella locusta, ma anche inglese Watercress, latino Nasturtium officinale o Rorippa nasturtium-aquaticum (crescione)

stiðe = inglese Nettle, latino Urtica dioica e Urtica urens (ortica)

attorlaðe = inglese Betony, e anche Bishop word o Woundwort, latino Stachys betonicaBetonica officinalis (betonica comune), oppure inglese Black nightshade, latino Solanum nigrum (morella comune), oppure inglese Viper's Bugloss, latino Echium vulgare (viperina azzurra), oppure inglese Cock's Spur Grass, latino Panicum crus galli Echinochloa crus-galli (giavone)

mægðe, inglese Chamomile o anche Mayweed o Maythe, latino Anthemis cotula o Matricaria (camomilla)

wergulu, inglese Crab-apple o Wood-sour Apple, latino Pyrus malus (mela selvatica)

fille, inglese Chervil, latino Anthriscus cerefolium (cerfoglio)

finule, inglese fennel, latino Foeniculum vulgare (finocchio selvatico o finocchietto).

Queste erbe aiutano contro il veleno dei serpenti e dei vermi e contro le infezioni, stando alla formula magica.

Nella seconda parte del testo si racconta di come Odino ha abbattuto un serpente spezzandolo in nove pezzi, e ci sono tutte le malattie e i veleni elencati in ripetizioni a mo' di formule, contro le quali vengono elencate le erbe che aiutano la guarigione. Il potere della benedizione ovvero l'impressione di una raccolta di ricette splendono attraverso le righe di questo antico incantesimo germanico (Alfred Philipsson, Germanic paganism among the Anglo-Saxons, publishing B. Tauchnitz, Leipzig 1929. S. 153).

Gli incantesimi anglosassoni mischiano, sembra, la magia con la medicina, il folklore pagano con il cristianesimo, la scienza con il miracolo - sebbene tali distinzioni (che, come tutte le differenze, hanno qualcosa di artificiale in realtà) non sarebbero piaciute ai progenitori anglosassoni, cristiani o no -.

Nella filosofia medico-magica degli antichi Germani i serpenti (wyrmas) ed il loro veleno (attor) sono agente simbolico di malattia e dolore. In effetti, molte antiche poesie indoeuropee celebrano la sconfitta dei serpenti da parte di divinità o di eroi, dall'indiano Rg Veda alle storie norrene dell'uccisione, da parte di Þórr, del Miðgarðsormr (il serpente del mondo). Lo stesso poema Beowulf si conclude con l'eroica lotta di Beowulf con il dragone, probabilmente un'eco inglese dello stesso racconto primordiale indoeuropeo che sta dietro alla lotta di Indra contro Vrtra (Rg-Veda I.32, I.80).

Appare qui una fusione o sincretismo tra magia/teologia/folklore germanici pre-cristiani (ad esempio il serpente inteso come malattia, il sacrificio di se stesso da parte di Odino come sciamano per il mistero delle rune) ed il mito cristiano (ad esempio Cristo sulla croce, la mela ed il serpente). Infatti, la distinzione tra Cristo e Odino è oscurata ulteriormente dal riferimento al "signore appeso", apparentemente Cristo sulla croce, ma che richiama il sacrificio di Odino su se stesso per cui si è appeso ad un albero per nove notti (nove erbe?) e si è trafitto con la sua stessa emblematica lancia per acquisire la conoscenza dei misteri delle rune (Hávamál 138-9 nell'Edda antica).


giovedì 20 giugno 2024

Alban Heruin o Litha - Il Solstizio d'estate

 

Il 21 giugno cade il Solstizio d’Estate, ampiamente celebrato in tutto il mondo antico. I celti lo chiamavano Litha, ma presso di loro era anche conosciuto come Alban Heruin, “Luce della riva” (per approfondire, leggi l’articolo “Il Solstizio d’Estate, Litha e San Giovanni“). In questa data ci troviamo esattamente al confine tra due metà della Ruota dell’Anno e da questo momento ci dirigeremo sempre più verso l’inverno. Nella lotta simbolica tra il Re Agrifoglio e il Re Quercia, messa in scena nel mondo celtico durante le festività dei periodi solstiziali, il 21 giugno vince il primo, che regnerà per i prossimi sei mesi conducendoci sempre più al centro di noi stessi, dandoci l’opportunità di scendere in profondità dentro di noi e di affrontare il buio e le prove che ci si presenteranno.




A Litha il ventre della terra, che era stato fecondato con lo hieros gamos – le nozze sacre – durante le celebrazioni di maggio e la festa di Beltane, ora è gonfio: i frutti giungono a maturazione e a breve arriverà il tempo del primo raccolto (per approfondire, puoi leggere gli articoli “Beltane, i Floralia e Calendimaggio: tre nomi per una sola festività” e “Lughnasadh - o Lammas, feste del raccolto“). Le ciliegie sono pronte per essere colte, ma la tradizione vuole che siano prese dal ramo rigorosamente prima di San Giovanni, se non vi si vuole trovare dentro il “Giovannino”, ovvero il baco.

Il 21 Giugno è conosciuto come il giorno più lungo dell’anno, in quanto il Sole culmina allo zenith, cioè nel punto più alto della volta celeste.

Nell’esatto mezzogiorno astronomico le ombre degli edifici e dei pali scompaiono del tutto; al tropico del Cancro è possibile osservare l’immagine del disco solare nel fondo dei pozzi, riflesso dall’acqua anche a decine di metri di profondità, e lo stesso fenomeno si ripete il 21 dicembre (solstizio d’inverno) al tropico del Capricorno.

La durata del giorno è massima nell’emisfero boreale e minima in quello australe. Le giornate iniziano a decrescere nell’emisfero boreale e a crescere in quello australe.

Il Sole sorge a Nord-Est e tramonta a Nord-Ovest.

L’antico nome celtico di tale evento, Mediosaminos, indicava la festa della mezza estate e con essa il trionfo della Luce e dell’energia che essa porta con sé, malgrado questa contenesse i semi dell’Oscurità che ritorna, poiché da questo momento le ore di luce andranno progressivamente diminuendo. Sebbene con il progressivo accorciarsi delle giornate il potere espansivo della metà luminosa dell’anno (samos) inizi a cedere alla tendenza introspettiva della metà oscura (giamos), nella celebrazione del solstizio d’estate l’attenzione è esclusivamente focalizzata sulla preservazione e conservazione della maggior quantità possibile di Luce ed alla preparazione al tempo del Raccolto.

Una caratteristica della ricorrenza di Mediosaminos è l’importanza che in essa riveste la raccolta delle numerose erbe medicinali spontanee, considerate mature per la raccolta durante il solstizio. La principale tra queste era quasi sempre l’iperico, chiamato in irlandese beathnua, ‘rinnovatore di vita’. Data la loro importanza, le caratteristiche simboliche, magiche ed erboristiche dell’iperico saranno oggetto di una trattazione a parte.

il Solstizio d’estate era quella considerata più carica di influssi dell’Altromondo. La tradizione gallese la considerava una delle tair ysbrydnos (‘tre notti degli spiriti’) dell’anno. L’assottigliamento del confine tra il nostro mondo e l’Altromondo creava ancora una volta le circostanze ideali per la divinazione ed esseri estranei alla nostra realtà potevano manifestarsi nello spazio e nel tempo (A. Kondratiev, ‘Il tempo dei Celti’). Con il nome di Litha, il solstizio ricorre come uno degli otto sabbat della tradizione neopagana.


 

In questo periodo i druidi tengono la loro cerimonia più complessa. Cominciando a mezzanotte della vigilia vegliano per tutta la notte, seduti intorno al fuoco del Solstizio. In poche ore la notte è trascorsa e quando la luce si fa strada, la cerimonia dell’alba segna il tempo del sorgere del Sole nel suo giorno più potente. A mezzogiorno si tiene un’altra cerimonia. È la cerimonia dell’alba a Stonehenge, che ha richiamato così tanta pubblicità. Il Solstizio d’Estate, Alban Heruin, a Sud, è il momento dell’espressione, quando possiamo aprirci alla realizzazione dei nostri sogni e al lavoro nel mondo attorno a noi. L’estate sembra sempre il momento in cui vi è la massima energia per realizzare ogni cosa, e noi, consapevoli di ciò, possiamo cooperare con questa energia» P. Carr-Gomm, ‘Riti e Misteri dei Druidi’.

 

Secondo Emma Restall-Orr: «il solstizio d’estate è il momento per venerare la potenza della luce, il maschile, la cima della montagna, la lama della spada, l’esteriore e l’assertivo. In Heifin noi riconosciamo l’espressione esteriore di noi stessi, la nostra vitalità e forza, tutto ciò che abbiamo usato nella spinta verso la crescita e il progresso, e impariamo quando fermarci. Durante la celebrazione ci si scambiano insegnamenti sulla necessità di equilibrare la potenza con la giustizia, la forza con la saggezza (E. Restall-Orr, ‘I principi del Druidismo’).

 

Nella tradizione greca il Solstizio d’Estate veniva indicato con il nome di Janua Inferi, la Porta degli Uomini: l’istante in cui il Sole raggiunge la posizione più elevata nel suo cammino apparente lungo l’eclittica e la luce sul mondo manifesto è massima; nell’esatto mezzogiorno astronomico, le ombre proiettate dagli oggetti sono minime, nulla del mondo manifesto è oscuro e la luce illumina la materia al suo massimo grado. È il cosiddetto fenomeno del ‘mezzogiorno senza ombre’ cui tutte le civiltà del mondo antico attribuivano grande importanza, come testimoniano templi, monumenti e piramidi orientate in direzione dei punti di levata o di tramonto del sole nei giorni solstiziali, una congiunzione considerata propizia al passaggio delle anime lungo il percorso della loro evoluzione: mentre durante il Solstizio d’Inverno, la Janua Coeli, dal mondo divino progredivano verso il mondo della manifestazione, in occasione della Janua Inferi le anime individuali abbandonavano un’esistenza umana ormai giunta al termine, per rientrare in una nuova esistenza secondo il proprio grado di evoluzione.

sabato 8 luglio 2023

I Filid -

 

Chiamati anche "fili" , (antico gaelico: "veggente") plurale filid , poeti professionista nell'antica Irlanda i cui doveri ufficiali erano conoscere e preservare i racconti e le genealogie e comporre poesie che ricordassero la gloria passata e presente della classe dirigente. 

filid costituivano una grande classe aristocratica, costosa da mantenere, e furono severamente censurati per le loro stravaganti richieste ai mecenati già nell'assemblea di Druim Cetta (575); furono difesi all'assemblea da San Colombano . 

Il loro potere non venne mai controllato dal momento che avevano il potere di  far rispettare le loro richieste attraverso la minaccia del temuto "lampoon" ( áer), o la maledizione del poeta, che non solo poteva danneggiare la reputazione di un uomo ma, secondo un'antica credenza diffusa, poteva causare danni fisici o addirittura la morte. 

Sebbene per legge un fili poteva essere sanzionato per abuso dell'áer , la fede nei suoi poteri era forte e continuò nel tempo...

Dopo la cristianizzazione dell'Irlanda nel V secolo, filid assunse la funzione poetica dei Druidi ormai definiti fuorilegge, la potente classe di colti Celti pagani. I filid erano spesso associati ai monasteri, che erano i centri di apprendimento.

I Filid erano divisi in sette classi. Uno dei gradi inferiori e meno istruiti era bardo . Il voto più alto fu lo ilollamh, raggiunto dopo almeno 12 anni di studio, durante i quali il poeta doveva dimostrare di padroneggiare più di 300 metri difficili, 250 storie primarie e 100 storie secondarie. 

Poteva quindi indossare un mantello di piume di uccello cremisi e portare una bacchetta magica. Sebbene all'inizio il filid scrivesse in una forma in versi simile al verso allitterativo prevalente nelle lingue germaniche , in seguito svilupparono intricate regole di prosodia e forme di versi rigide e complicate, la più popolare delle quali era il debide (moderno irlandese deibide, "tagliato in due”), una quartina composta da due distici, legati dalla rima di una sillaba accentata con una non accentata.

Dopo il VI secolo, ai filid fu concessa di possedere della terra. Erano tenuti non solo a scrivere poesie ufficiali, ma anche a istruire i residenti della zona in diritto, letteratura e storia nazionale. Queste sedi di apprendimento costituirono la base per i successivi grandi collegi bardici.



Nel XII secolo i filid composero poesie liriche sulla natura e poesie personali che lodavano le qualità umane dei loro mecenati , in particolare la loro generosità, piuttosto che le gesta eroiche o degli antenati . Non aderirono più rigorosamente alle regole stabilite della prosodia. La distinzione tra i fili e il bardo venne gradualmente a sparire; il filid  lasciò il posto alla supremazia dei bardi nel XIII secolo.

 

Imbas Forosnai - L'ispirazione poetica dei Filidh

 

Nell'antica Irlanda esisteva un rituale chiamato Imbas Forosnai che i filídh, poeti o veggenti, praticavano per ottenere l'ispirazione visionaria. Sarebbe un dono di divinazione o “capacità di vedere oltre” praticato dai Bardi dell'antica Irlanda .

In  irlandese anticoImbas significherebbe "ispirazione" e si riferisce specificamente al sacro slancio poetico che si credeva fosse posseduta dai filídh che in antico irlandese significa “poeti ispirati e visionari”, considerati come  successori dei druidi, poiché l'antica tradizione gaelica era orale e la saggezza veniva tramandata con il passaparola. 



Ai tempi della legge Brehon (in gaelico brehon significa druido giudice) in Irlanda, i poeti erano anche i legislatori, poiché la legge era cantata in versi. Questa antica tradizione orale è stata parzialmente trascritta dai druidi di Tara e San Patrizio nel IV secolo nel Senchus Mór). La legge brehon del vecchio ordine gaelico è sopravvissuta da tempo immemorabile in Irlanda fino al XVII secolo.

Forosnai significa "illuminato" o "ciò che illumina". Le descrizioni delle pratiche associate a Imbas forosnai si trovano nel glossario di Cormac e nella mitologia associata all'eroe Fionn mac Cumhaill . Nel Táin Bó Cúailgne, la poetessa Fedelm usa i suoi imbas forosnai per predire l'esito di una battaglia. Imbas forosnai prevedeva che il praticante si impegnasse in tecniche di deprivazione sensoriale per entrare in trance e ricevere risposte o profezie. Si trattava di un rituale usato per invocare stati alterati di coscienza e ottenere ispirazione visionaria, o manifestazione che illumina . Una delle più antiche testimonianze scritte di Imbas Forosnai proviene dal Sanas Cormaic, scritto nel 908 d.C. 

A quel tempo le vecchie usanze pagane e druidiche erano già state costrette alla clandestinità, o assimilate, a causa dell'avvento del cristianesimo. Imbas Forosnai è anche spesso menzionato nel ciclo mitologico feniano molto più antico, An Fhiannaíocht, del II secolo d.C., ed è citato nello stesso Senchus Mór, la più antica legge gaelica scritta sopravvissuta. 

Nelle tradizioni celtiche, la poesia è sempre servita come principale mezzo di trasmissione della verità spirituale. I testi celtici distinguono tra la poesia normale, che è solo una questione di abilità appresa, e la poesia "ispirata", che è vista come un dono degli dei .

Alcuni studiosi di ricostruzione celtica sono coinvolti nella rinascita delle pratiche connesse con Imbas forosnai.

 

venerdì 7 luglio 2023

Il Seiðr - La Magia Odinica

 Il seiðr (in italiano anche seid o seidhr) è un tipo di Magia Sciamanica di tradizione nordica e germanica che consentiva di assumere il fjölkungi, cioè "il più grande potere". Secondo la mitologia era una pratica di origine Vanir insegnata da Freyja a Odino. Buona parte della magia seiðr si basa sulla comunicazione con gli spiriti e potremmo trovare qualche analogia con il concetto di Mana melanesiano. Il seiðr permetteva di prevedere il futuro, ma anche di dispensare morte, sventura e malattia. Con la pratica del seiðr era infatti possibile privare un individuo della sua forza e della sua intelligenza per trasmetterle a qualcun altro.



La parola seiðr si crede derivi dal proto-germanico *saiðaz, collegato al lituano saitas "segno, predizione", derivante dal proto-indoeuropeo *soi-to- "corda" e la sua radice seH2i- "legare": Tuttavia non risulta chiara la connessione con la pratica del seiðr. Si pensa che forse corde o lacci venissero usati durante le sedute del seiðr. È anche stato fatto un collegamento con il finlandese soida, "suonare uno strumento". Questo collegamento oltre a sottolineare l'importanza della musica in questo rito, potrebbe indicare la filiazione della magia nordica da quella finnica e sami.

Nell'antico inglese i termini correlati sono siden e sidsa, entrambi conosciuti solo in contesti in cui sono gli elfi (ælfe) a praticare questa magia o qualcosa di simile al seiðr. Le parole più usate in antico inglese per indicare chi pratica la magia erano wicca (al maschile) e wicce (al femminile), da cui deriva il moderno inglese "witch".

È una pratica stregonica di origine sciamanica utilizzata da singole individualità, quasi sempre di sesso femminile. Infatti sebbene le attestazioni riguardanti i caratteri e le tecniche rituali non risultino facilmente reperibili, sembra che gli "atteggiamenti femminili fossero tanto numerosi che gli uomini si vergognavano di praticarla; allora si insegnò quest'arte alle sacerdotesse" (cit. Lanczkowski). Nella Lokasenna, Loki viene accusato dagli altri dèi di praticare il seiðr e quindi di tenere atteggiamenti effeminati, Loki risponde facendo notare che anche Odino si è accostato al seiðr. Un uomo che faceva uso del seiðr era chiamato seiðmaðr ed era visto come non virile ed effeminato, perciò chiamato ergi (o argr), cioè giumenta, e niðr, una delle peggiori accuse che potesse essere rivolte a un uomo. Tradizionalmente il seiðr non distingue tra magia buona o cattiva e non concerne la pratica magica delle rune.

Chi praticava la magia era definito in vari modi: seiðkona (donna che usa il seiðr), seiðmaðr (uomo che pratica il seiðr); spákona (donna che prevede il futuro); völva.



Snorri Sturluson riporta le origini mitologiche del seiðr nella Saga degli Ynglingar. Egli connette il seiðr con le divinità Vanir: nella fattispecie è Freyja che ha insegnato il seiðr agli Æsir. Il termine è usato anche nel moderno paganesimo Ásatrú per indicare la pratica magica.

Il seiðr faceva uso di incantesimi (galðrar, sing. galðr) e a volte di danze.

Le donne che praticavano questa magia appartenevano a livelli piuttosto alti della società e forse ricoprivano altri importanti ruoli. Per invocare l'aiuto di divinità o spiriti potevano fare affidamento anche ad altre persone. Alcuni testi suggeriscono che il seiðr veniva usato soprattutto in momenti di crisi che potevano essere risolti attraverso la predizione del futuro o la maledizione dei nemici. Da qui si evince che il seiðr poteva avere una valenza positiva ma anche un grande potere distruttivo che poi ebbe il sopravvento soprattutto con l'avvento del Cristianesimo.

Un oggetto molto importante era il seiðstafr, un bastone di metallo che apparteneva alle seiðkonar e veniva probabilmente usato durante i rituali. Qui potrebbe esservi un collegamento con le völva, profetesse che derivavano il loro nome appunto dal fatto di portare un bastone (o scettro, völ). Un interessante rinvenimento archeologico nell'isola di Öland, la cosiddetta tomba della signora di Öland, conteneva i resti di una donna sepolta insieme a uno scettro di 82 cm fatto di ferro, con dettagli di bronzo e in cima il modellino di un edificio. Inoltre, la donna era vestita con una pelliccia d'orso ed era seppellita in una nave insieme a sacrifici animali e umani.

 

Relazioni Letterarie

 

Oltre al già citato Lokasenna, il rituale del seiðr compare anche in altri testi, soprattutto nelle saghe.

 

Saga di Eiríkr Rauðri

In questa saga del XIII secolo, nel capitolo 4, compare una völva di nome Thorbjǫrg (lett. Protetta da Thor. Il suo abbigliamento viene descritto in modo molto dettagliato e si dice che in quel periodo in Groenlandia vi era un particolare momento di carestia:

«In quel tempo vi era una grande carenza in Groelandia. Quelli che erano partiti per pescare avevano catturato molto poco e alcuni non erano tornati. Nell'insediamento viveva una donna di nome Thorbjǫrg. Era una profetessa (spákona) e la chiamavano Piccola Veggente (lítilvölva). Thorbjǫrg era vestita con un mantello azzurro [...] ed era intarsiato di gemme quasi fino alla gonna, e al collo portava perline di vetro. Sulla testa portava un cappuccio di pelle d'agnello foderato d'ermellino. In mano portava uno scettro (staf í hendi) con un'impugnatura; era ricoperto di ottone e ornato di gemme attorno al manico. [...] Possedeva una grande borsa di pelle dove conservava i talismani necessari alla sua conoscenza. Ai piedi portava scarpe di pelle di vitello [...] Alle mani portava guanti di ermellino, bianchi e foderati all'interno. [...] Li pregò di portare da lei quelle donne che conoscevano gli incantesimi conosciuti come Varðlokur.»

(Saga di Erik il Rosso)

Tra queste donne vi era una certa Guðrið che rifiutò di prendere parte al seiðr perché cristiana. Guðrið disse che, sebbene non fosse esperta di questi canti, la sua madre adottiva Halldís le aveva insegnato i Varðlokur. Questo potrebbe significare che le conoscenze e i rituali magici, quasi sempre nell'ambito femminile, erano abbastanza noti e condivisi a una larga parte di persone. Poi viene descritto il rituale:

«"Le donne formarono un cerchio e Thorbjǫrg salì sull'impalcatura e il saggio preparati per i suoi incantesimi. Poi Guðrið [costretta a partecipare comunque al rito] cantò il Varðloka in modo così bello ed eccellente che sembrava che nessuno prima di allora avesse sentito una voce così bella come adesso. La spákona la [Guðrið] ringraziò per il canto."»

(Saga di Erik il Rosso)

Alla fine del seiðr Thorbjörg disse:

«E io adesso posso dire questo, che la carestia non durerà a lungo e la stagione sta migliorando, con la primavera che avanza. L'epidemia di febbre che ci ha oppressi sparirà più presto di quando avremmo potuto sperare.»

 

Pietra runica di Skjern

 

Questa pietra runica si trova nel villaggio di Skjern in Danimarca e risale all'epoca vichinga. È identificata come Danish Runic Inscription 81 o DR 81. Contiene una maledizione contro chi pratica il seiðr.



Il testo dice che la pietra è stata dedicata da una donna di nome Sasgerðr in memoria di Óðinkárr Ásbjǫrnson. Il nome Óðinkárr (uþinkaur) è un nome teoforico che si ricollega a Odino e forse a un culto iniziatico in cui si lasciavano crescere i capelli. Per questo motivo, è possibile che il signore (drott) menzionato sia proprio Odino, anche se è probabile si riferisca a un re o un uomo di rango (jarl o hersir).

 

Traslitterazione dal Runico al Latino

«A: Sasgærþr resþi sten, Finnulfs dóttir at Oþinkor Asbiarna sun, þan dyra ok hin drottinfasta. B: Siþi sa mannr æs þøsi kumbl of briuti»

«A: Sasgerðr, filia Finnulfi, hunc lapidem erexit in memoriam domini inkárr filii sbjǫrn, domini sui probati et fidelissimi.

B: Quisquis hoc monumentum deleverit magus/siþi [maledictus]»

«A: Sasgerðr, figlia di Finnulfr, ha eretto questa pietra in memoria di Óðinkárr figlio di Ásbjǫrn, stimato e leale al suo signore

B: Chi distruggerà questo monumento (sia) uno stregone/siþi [cioè sia maledetto]»

 

 

Il mana o manas è un termine che prende origine in Melanesia  diffuso in molte lingue austronesiane (melanesiana e polinesiana) che generalmente significa «forza sovrannaturale», «potere spirituale», «efficacia simbolica», e può essere tradotto con «forza vitale».

Poteva essere accumulato in combattimento, con l'arte della retorica, o mangiando un nemico. I grandi capi tribù cercavano e possedevano grandi quantità di mana. Si tratta anche di un termine hawaiano che significa «forza che viene da dentro».