mercoledì 24 aprile 2024

LE MASCHE - Le Streghe piemontesi

 


"Masca" è un termine dialettale piemontese che indica la "strega", tipico di Langhe e Canavese.
La "masca", secondo le credenze popolari, è in possesso di facoltà naturali ed opera incatesimi, toglie o indirizza fatture, utilizza medicamenti strani ed eredita la conoscenza dei poteri per via matrilineare dalla madre o dalla nonna. Oltre ai poteri ereditati per via orale, la strega eredita anche il "Libro del Comando", dove con inchiostri di vari colori sono riportati formule e incantesimi.






Nell'immaginario collettivo piemontese, le "masche" hanno un volto sgradevole, la pelle ruvida e scura, la fronte bassa e scavata da diverse rughe. Insomma, la vera immagine della strega cattiva delle fiabe di quando eravamo piccoli. Niente a che vedere con l'arcigna ma affascinante matrigna di Biancaneve.
Nonostante ormai il potere di autosuggestione tipico del pensiero popolare, si sia nel corso del tempo affievolito con l'ingrandirsi delle città e dell'evoluzione industriale, in Piemonte pregiudizi e scaramanzie sono ancora largamente diffusi.
Le streghe putroppo non sono appartenute solo alla fantasia ed anche il Piemonte possiede la sua triste realtà legata ai processi per stregoneria. L'immagine dei crimini commessi realmente o partoriti dalla fantasia di irragionevoli giudici della Chiesa e dei tribunali, portavano ad una sorta di esaltazione e dilatazione dei processi che a loro volta coinvolgevano interi paesi. La donna accusata di stregoneria veniva vestita di un camice bianco e portata in corteo fino al luogo dell'esecuzione.
Un documento del 1474 rinvenuto tra le carte dei conti Valperga di Rivara, ci informa che il 23 settembre 1472, a Forno di Rivara vennero bruciate tre donne del luogo, si sa soltanto che si trattava di tre sorelle. Un altro documento sempre del 1474, riporta invece ben 55 capi d'accusa rivolti a quattro donne di Levone:
Antonia De Alberto, Francesca Viglone, Bonaveria Viglone e Margarota Braya la quale riuscì a fuggire ed a evitare il rogo.
A Pollenzo, si narra ancora oggi la leggenda della strega Micilina. Siamo nell'anno 1544 e Micaela Angiolina Damasius, detta appunto Micilina, avanza avvilita per le angherie subite, tra la folla. La poverina venne accusata di stregoneria e condannata al rogo, venne portata su un carro trainato da due buoi bianchi, alla sommità di una brulla collinetta e legata ad un vecchio castagno. La leggenda però vuole che la donna liberatasi dal bavaglio avvolta tra le fiamme, urlasse una maledizione al popolo che la guardava attonito:
"Maledetti! Non saranno le fiamme a liberarvi di me, verrà una tremenda guerra che vi sterminerà che terminerà solo quando questi due buoi torneranno bianchi!". A quel punto si udì un tremendo fragore e i due buoi che l'avevano trainata fin lì, da bianchi che erano divennero rossi come il fuoco ed impazziti si lanciarono contro la folla urlante. Ancora oggi su quella collina si possono notare delle strane macchie rosse sul terreno: si dice che sia il sangue della povera Micilina.
Oggi le cose sono per fortuna molto cambiate e moderne streghe possono vivere alla luce del sole, ben integrate nella comunità locale. Come a La Morra, per esempio, dove due anziane signorine operano da anni i loro sortilegi (tra cui abbondano, si dice, i malefici...) essendo note a tutti e frequentando assiduamente la Chiesa e le suore del luogo.
Che lo si legga in positivo, come manifestazione della tolleranza della nostra epoca, o in negativo, come decadenza del rigore di fede e religione, resta comunque un eloquente segno dei tempi.

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