"Masca" è un termine dialettale piemontese
che indica la "strega", tipico di Langhe e Canavese.
La "masca", secondo le credenze popolari, è in possesso di facoltà
naturali ed opera incatesimi, toglie o indirizza fatture, utilizza medicamenti
strani ed eredita la conoscenza dei poteri per via matrilineare dalla madre o
dalla nonna. Oltre ai poteri ereditati per via orale, la strega eredita anche
il "Libro del Comando", dove con inchiostri di vari colori sono
riportati formule e incantesimi.
Nell'immaginario collettivo piemontese, le "masche" hanno un volto
sgradevole, la pelle ruvida e scura, la fronte bassa e scavata da diverse
rughe. Insomma, la vera immagine della strega cattiva delle fiabe di quando eravamo
piccoli. Niente a che vedere con l'arcigna ma affascinante matrigna di
Biancaneve.
Nonostante ormai il potere di autosuggestione tipico del pensiero popolare, si
sia nel corso del tempo affievolito con l'ingrandirsi delle città e
dell'evoluzione industriale, in Piemonte pregiudizi e scaramanzie sono ancora
largamente diffusi.
Le streghe putroppo non sono appartenute solo alla fantasia ed anche il
Piemonte possiede la sua triste realtà legata ai processi per stregoneria.
L'immagine dei crimini commessi realmente o partoriti dalla fantasia di irragionevoli
giudici della Chiesa e dei tribunali, portavano ad una sorta di esaltazione e
dilatazione dei processi che a loro volta coinvolgevano interi paesi. La donna
accusata di stregoneria veniva vestita di un camice bianco e portata in corteo
fino al luogo dell'esecuzione.
Un documento del 1474 rinvenuto tra le carte dei conti Valperga di Rivara, ci
informa che il 23 settembre 1472, a Forno di Rivara vennero bruciate tre donne
del luogo, si sa soltanto che si trattava di tre sorelle. Un altro documento
sempre del 1474, riporta invece ben 55 capi d'accusa rivolti a quattro donne di
Levone:
Antonia De Alberto, Francesca Viglone, Bonaveria Viglone e Margarota Braya la
quale riuscì a fuggire ed a evitare il rogo.
A Pollenzo, si narra ancora oggi la leggenda della strega Micilina. Siamo
nell'anno 1544 e Micaela Angiolina Damasius, detta appunto Micilina, avanza
avvilita per le angherie subite, tra la folla. La poverina venne accusata di
stregoneria e condannata al rogo, venne portata su un carro trainato da due
buoi bianchi, alla sommità di una brulla collinetta e legata ad un vecchio
castagno. La leggenda però vuole che la donna liberatasi dal bavaglio avvolta
tra le fiamme, urlasse una maledizione al popolo che la guardava attonito:
"Maledetti! Non saranno le fiamme a liberarvi di me, verrà una tremenda
guerra che vi sterminerà che terminerà solo quando questi due buoi torneranno
bianchi!". A quel punto si udì un tremendo fragore e i due buoi che
l'avevano trainata fin lì, da bianchi che erano divennero rossi come il fuoco
ed impazziti si lanciarono contro la folla urlante. Ancora oggi su quella
collina si possono notare delle strane macchie rosse sul terreno: si dice che
sia il sangue della povera Micilina.
Oggi le cose sono per fortuna molto cambiate e moderne streghe possono vivere
alla luce del sole, ben integrate nella comunità locale. Come a La Morra, per
esempio, dove due anziane signorine operano da anni i loro sortilegi (tra cui
abbondano, si dice, i malefici...) essendo note a tutti e frequentando
assiduamente la Chiesa e le suore del luogo.
Che lo si legga in positivo, come manifestazione della tolleranza della nostra
epoca, o in negativo, come decadenza del rigore di fede e religione, resta
comunque un eloquente segno dei tempi.
Nessun commento:
Posta un commento